Strafalcioni e divi capricciosi

Festival del Cinema di Venezia,

Italia quasi a secco

 

 

LXIX Festival del Cinema di Venezia: come in una scena già vista, l’Italia ha vinto praticamente nulla. I premi che contano sono andati quasi tutti a The Master e il Leone d’oro per il miglior film al crudo e bellissimo Pietà di Kim Ki-duk. Aspettative disattese per gli artisti nostrani che hanno ritirato solo due premi minori. A Daniele Ciprì per il suo E’ stato il figlio il riconoscimento per il miglior contributo tecnico per la fotografia e al giovanissimo Fabrizio Falco il Premio Mastroianni come miglior attore emergente (nel film Bella Addormentata). Ciprì ritira una triste medaglietta in oro quasi invisibile nella sua grande scatola rossa; infatti i giornalisti chiedono di tirarla fuori dalla custodia a favore dei flash fotografici. Nessuno brilla neanche tra i componenti delle varie giurie. Il regista americano Michael Mann è il Presidente della Giuria principale, non dice neanche una parola in italiano e la traduzione con voce fuori campo arriva quando sul palco c’è già l’ospite successivo. Il pur trendy dj Bob Sinclair è inaspettatamente nella Giuria che assegna il Leone d’Oro per i Futuro. Sale sul palco in jeans elasticizzati con cavallo basso alla araba e giacca da sera in ciniglia fuxia: nessuno osa interpellarlo. Per i premi di maggior peso: è la volta di Philip Seymour Hoffman che ritira la Coppa Volpi come miglior attore per The Master. Arriva trafelato e in disordine e cerca di evitare lo scivolone (di stile) raccontando, in lingua inglese, che è appena sceso da un aereo e per rendersi presentabile si è vestito in una toilette dietro le quinte. Suscita ilarità e simpatia, mentre appare detestabile ai più il suo coprotagonista Joaquin Phoenix che non si presenta neanche a ritirare la Coppa Volpi (vinta a pari merito col collega) e si distingue solo per le bizze da divo. Hoffman guadagna nuovamente il palco per ritirare il terzo premio per The Master al posto del regista P. T. Anderson. Gli viene consegnata per errore la Targhetta con leone incastonato che sarebbe spettata a Urlich Seidl per il film-scandalo Paradise: Feith invece del Leone d’Argento. Seidl fa anche il discorso di ringraziamento brandendo con fierezza la statuetta leonina, per scoprire poco dopo di doverla restituire. L’unico a rendere davvero omaggio all’Italia è stato il vincitore del premio più prestigioso Kim Ki-duk. Al Bel paese ha intonato il canto popolare coreano “Arirang” anche se in buffa tenuta con pantaloni alla zuava e, nella locandina del suo film, ha riprodotto in una immagine in carne e ossa “La Pietà” di Michelangelo.

Raffaella D’Adderio

 

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