Il grosso imbroglio sulla storia medievale: da USA e Francia c’è chi la pensa come noi

Se facciamo mente locale alle comunicazioni del prima, durante e dopo (soprattutto al dopo) del 58° convegnone di Montecò del CSSM, sembrerebbe che solo don Giovanni Carnevale, i suoi sostenitori ed anche io (anche se innominato), siamo quelli che nel mondo sosteniamo una idea strampalata e contro la storiografia ufficiale, che vuole a tutti i costi un Medio Evo “made in Germany” e per questo non solo dovremmo vergognarci noi, ma faremmo vergognare tutti i marchigiani. Leggendo di storia e non solo sui sacri testi dell’MGH, ma anche in giro per altri paesi della nostra stessa cultura occidentale, mi è capitato di constatare che ben prima di don Giovanni e non per situare la cappella palatina, personaggi di peso culturale mondiale abbiano espresso delle convinzioni sul modo dei Tedeschi di fare storia. Giudizi che sono molto distanti da quelli del CSSM e fondamentalmente coincidenti con le nostre visioni del problema, anche se non si rife-riscono espressamente a San Claudio, ma a come i Tedeschi dell’Ottocento abbiano scritto la storia come a loro più confaceva, sospinti dal “Sanctus amor patriae dat animum”. Il primo è un sintetico estratto da una pubblicazione statunitense, di un filosofo “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio”. Il testo anche se lungo è meglio che lo si legga, soprattutto lo faccia chi è uso scorrere gli articoli altrui in diagonale per poi fare commenti che nulla hanno a che vedere col contenuto. Non credo di dover illustrare a dei letterati sicuramente ben informati chi fosse Charles Sanders Peirce. Per i comuni mortali consiglio Wikipedia. Si tratta di una pubblicazione postuma ripresa da una prestigiosa Università americana. Testo originale più traduzione mia.

From “THE ESSENTIAL PEIRCE Selected Philosophical Writings” VOLUME 2 (1893–1913) Indiana University Press

On the Logic of Drawing History from Ancient Docu-ments, Especially from Testimonies

MS 690. [Published in CP 7.164–231 and HP 2:705–62. Only the first half of the document is printed here. It was written in October and November 1901, with the financial support of Francis Lathrop, whose secretary had the manuscript typed. ….In this monograph, Peirce argues that even though Hume’s method of balancing the veracity of a witness against the improbability of his narrative may be defended in certain cases, it is not generally applicable and is rarely used by historians. The probabilities generally relied on by historians are subjective-“mere expressions of their preconceived notions”-and are completely unreliable. Peirce claims that what is needed for scientific history is a method that does not turn on either estimates of probability or degrees of belief. He recommends the general method of experimental science[…] Peirce gives a detailed account of the economic and other factors that must be brought to bear on the selection of historical hypotheses[…]..Now the practice of those modern German critics of ancient history whose works I have read, particularly those who treat of the history of philosophy, and whose  methods are generally extolled, is based upon the theory of balancing likelihoods. In so far as their general logical method departs from that of Hume, it is only less refined. The principal difference between Hume and them is that the word “Proof” is continually in their mouths, a word which Hume scrupulously avoided in speaking of the minor facts of ancient history. […] They seem to be discontented with mere probability; and are always in search of an argument that something “must” be. The necessity which enters into the conclusion of such an argument as part of its subject matter is confounded by them with the necessity of a mathematical demonstration, in the conclusion of which the word “must” does not frequently occur. Now since it happens ten times that we can argue that testimony must be false to every once that we can argue that it must be true, it naturally follows, and is a fact, that these critics show far greater favor to views which reject all the historical evidence in our possession than they do to views which are based on some part of the evidence. “That, however, is not proved,” is their usual comment upon any such hypothesis. Another particular in which they depart from Hume is in applying to history generally the canon of Bentley concerning the criticism of texts, that, in general, the more difficult reading is to be preferred.5 In like manner, they hold that narrative which was least likely to be invented, owing to its improbability, is to be preferred. They are thus provided with two defenses against historical testimony. If the story told appears to them in any degree unlikely, they reject it without scruple; while if there is no taint of improbability in it, it will fall under the heavier accusation of being too probable; and in this way, they preserve a noble freedom in manufacturing history to suit their subjective impressions

TRADUZIONE

Sulla logica di estrarre (delineare) la storia da antichi documenti, specialmente dalle testimonianze.

“Qui viene stampata solo la prima metà del documento. Fu scritto in ottobre e novembre 1901, con il sostegno finanziario di Francis Lathrop, la cui segretaria aveva battuto a macchina il manoscritto. …In questa monografia, Peirce sostiene che anche se il metodo di Hume di ponderare la veridicità di una testimonianza a causa dell’improbabilità di ciò che racconta, può essere difeso in alcuni casi, esso non è applicabile generalmente ed è usato raramente dagli storici. Le probabilità in generale invocate dagli storici sono soggettive -“mere espressioni delle loro nozioni preconcette”- e sono completamente inaffidabili. Peirce afferma che ciò che è necessario per la storia scientifica è un metodo che non attiva né le stime di probabilità né i livelli di credibilità. Egli raccomanda il metodo generale della scienza sperimentale, Peirce fornisce un resoconto dettagliato degli elementi economici e di altri fattori che devono essere applicati alla selezione delle ipotesi storiche. Ora la pratica di quei moderni critici Germanici della storia antica di cui ho letto le opere e in particolare di quelli che trattano la storia della filosofia, i cui metodi sono generalmente decantati, si basa sulla teoria del bilanciamento delle probabilità. Di primo acchito il loro metodo logico generale proviene da quello di Hume, solo che è meno raffinato. La differenza principale tra loro e Hume è che loro usano in continuo la parola “prova”, espressione che Hume, parlando dei fatti minori della storia antica evitò scrupolosamente… Essi [i germanici] sembrano scontenti se un argomento è visto semplicemente probabile e sono costantemente alla ricerca di argomenti in cui qualcosa “deve” essere un punto fermo. La conclusione insita in un qualsiasi argomento che faccia necessariamente parte del loro contesto principale, è da loro scambiata con la necessità di produrne una dimostrazione matematica nelle cui conclusioni la parola “è” ovvero “deve essere” non è però frequente. Ora quando accada che noi si possa sostenere per dieci casi che una testimonianza è falsa per ogni singola volta che una testimonianza è invece vera, è naturale che succeda, ed è un dato di fatto, che questi critici storici mostrino una grandissima preferenza per quelle interpretazioni che rifiutano tutte le evidenze storiche in nostro possesso a favore d’interpretazioni che sono basate solo parzialmente sulle evidenze. “Questo non è comprovato” è il loro usuale commento per queste nostre ipotesi. Un altro particolare che li allontana dalle tesi di Hume consiste nell’applicare alla critica dei testi di storia in generale i canoni di Richard Bentley ovvero che deve essere preferita la lettura più difficoltosa …In questo modo vengono a sostenere che una narrazione che alla fin fine è molto vicina all’essere stata inventata, proprio in ragione della sua improbabilità è quella da preferire. Essi si sono quindi dotati di due difese contro la testimonianza storica: se la storia in questione appare loro in una qualche misura improbabile la rifiutano senza scrupoli, mentre se in essa non ci sono segni di improbabilità sarà oggetto della pesante accusa di essere troppo probabile . In questo modo essi si riservano una nobile libertà nel costruire la storia che più soddisfa le loro opinioni soggettive”.

Non credo di dover sottolineare nulla di questo testo, esso si riallaccia alla necessità degli autori tedeschi di “far nascere a casa loro” situazioni, eventi e aspetti culturali per necessità contingenti la loro politica interna dal primo ottocento in poi. La questione dell’interpretazione parrocchialistica della storia non sfugge a un brillante storico francese della Belle Epoque i cui saggi sono sostanzialmente improntati a spiegare le problematiche della storiografia e di come gli storici vedono la storia. La pubblicazione che segue è ristampata postuma per l’importanza che le si attribuì alla fine della prima guerra mondiale.

 Frustel de Coulanges – QUESTIONS CONTEMPORAINES-  Librairie Hachette terza edizione postuma 1919 – Pagg 10-11 Pubblicato anche sul portale Gallica. Biblioteca Naz. Di Francia.

Il y avait cinquante ans que nous nous appliquions a convaincre l’Europe que nous etions haïssables. L’histoire franḉaise combattait pour l’Allemagne contre la France… …Pendant cette même période d’un demi siècle, les Allemands etendaient d’une tout autre faḉon la science historique. Ce peuple a dans l’erudition les mêmes qualités que dans la guerre …Ses historiens forment une armée organisée. On y distingue les chiefs et les soldats….Tout nouveau venu se met à la suite d’un maître, travaille avec lui, pour lui, et reste longtemp anonyme comme le soldat; plus tard il deviendrà capitaine et vingt têtes travailleront pour lui…Chaque petite troupe a son devoir, son mot d’ordre, sa mission, son objectif. Un grand plan d’ensemble est tracé, chacun en execute sa part. Le petit travailleur ne sai pas tousjours où on le mène, il n’en suit pas moins la route indiquée…

TRADUZIONE

“È da cinquant’anni che ci impegniamo per cercare di convincere l’Europa che eravamo antipatici. La storia francese ha combattuto per la Germania contro la Francia […] Durante lo stesso periodo di mezzo secolo, i Tedeschi concepivano l’esperienza storica in tutt’altro modo. Questo popolo ha in erudizione le stesse qualità della guerra […] I suoi storici formano un esercito organizzato. Al suo interno ci sono capi e soldati. Ogni nuovo arrivato segue un capo, lavora con lui, per lui, e rimane a lungo anonimo come il soldato; più tardi diventerà capitano e venti teste lavoreranno per lui […] Ogni piccola truppa ha il suo compito, il suo motto, la sua missione e il suo obiettivo. È stato predisposto un grande piano generale, ognuno compie la sua parte. Il piccolo lavoratore non sa sempre dove viene condotto, segue il percorso indicato”. Anche questo condensato è perfettamente leggibile e non c’è da svelare alcun arcano per capirne il significato, soprattutto se lo si lega alla organizzazione che ebbe la “Societas Aperiendis Fontibus Rerum Germanicarum Medii Aevi” (società per la ricerca delle fonti delle cose tedesche del medio evo) ed alle più di cento pubblicazioni del “Monumenta Germaniae Historica” per gli habitués semplicemente l’MGH. Non siamo solo noi piccoli sporchi e cattivi ad avanzare riserve sulla credibilità di una certa storia medievale “made in Germany”, ma contro questi giganti nessuno ha promosso convegnoni demolitori, semplicemente si accettano opinioni differenti che poi ogni lettore giudicherà con la propria testa. 

Medardo Arduino

NOTA DELLA REDAZIONE: Non eravamo a conoscenza degli scritti di questi due autori e ringraziamo l’architetto Medardo Arduino per averci proposto l’articolo nei due punti  che sono, per così dire, illuminanti e rinforzano quanto da anni, noi e non solo noi, stiamo scrivendo. Cioè che gli storici tedeschi di fine ottocento abbiano aggiustato la storia medievale pro domo sua. Siamo sempre più stupiti dagli storici (?) nostrani che si rifiutano d’indagare e, peggio, rifiutano a priori: sono rimasti agli studi fatti nelle scuole elementari! 

27 maggio 2024

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