di Giuliano Pietroni
Alla fine di ottobre del 1962, l’ingegner Faverzani, responsabile perforazione dell’Agip Mineraria, arrivò a Korramshaar, Iran per comunicare al Caposettore del distretto, signor Olivero, la scomparsa del Presidente Enrico Mattei. Tutto lo staff italiano si diresse in città ove esisteva una chiesetta cattolica con un sacerdote italiano che celebrò una funzione funebre a ricordo del nostro Presidente. La notizia ricevuta ci aveva sconvolti perché sentivamo di aver perso il nostro tutore di questo grande progetto. Lo staff del Settore Operativo era quasi tutto sui 30/40 anni, tutte persone assunte direttamente da Mattei e originarie di luoghi strategici per Mattei: Marche, Emilia, Toscana e Veneto. Dopo circa un mese Vincenzo Boldrini, eletto Presidente Eni, venne a Korramshaar e rimase con noi per alcuni giorni dimostrando così che la nuova direzione credeva ancora al progetto e ci spronò a lavorare come facevamo con Mattei, perché la politica era rimasta sempre quella del primo Presidente. “Iran” è stato il secondo contratto che Mattei concluse nel 1957 con lo stato iraniano per la esplorazione a mare sul Golfo Persico, a terra sul deserto del Mekran e in montagna sugli Zagros, cime che raggiungevano i 4mila metri di altitudine. Il “Settore operativo Iran” era dislocato su un campo base costituito da baracche per gli uffici, per l’officina e per i magazzini; aveva una zona di approdo sul fiume Karoon, un affluente del Tigri e dell’Eufrate che separava l’Iran dall’Irak, necessario per caricare bettoline per il trasporto del materiale sul golfo Persico. Il personale era composto da quasi 100 espatriati (tra questi 6 marchigiani: Giuliano Pietroni, maceratese; Quarto Pianesi, maceratese; Luigi Becerica, recanatese; Franco Clementoni, potentino; Brusca, maceratese e Casaccia, pesarese). L’esplorazione petrolifera necessitava di tutte le infrastrutture logistiche per spostare personale e materiali; il distretto aveva una base logistica per elicotteri Sikorski, con piloti e tecnici, navi di appoggio all’impianto di perforazione sul mare, caterpillar e mezzi di movimento terra per costruire strade sugli Zagros e teleferiche per trasportare materiale di perforazione sulle cime del complesso montagnoso, ove veniva perforato il pozzo. Il progetto implicava risorse umane specializzate, contrattisti italiani e stranieri e tanto personale iraniano ingaggiato sia temporaneamente che definitivamente. Ricordo che il personale locale aveva appreso la lingua italiana da noi che non conoscevamo bene il francese e l’inglese, e la cadenza da loro appresa era quella del dialetto piacentino. L’attività era frenetica: 48 ore di lavoro settimanale per 13 mesi e un mese di ferie. Il distretto era dotato di alloggi per i lavoratori che desideravano portare la famiglia, guest house per i dipendenti scapoli e una mensa aziendale gestita da contrattisti italiani di fama internazionale. La città di Abadan, a 25 km dal distretto, aveva tutte le facilities ricettive di alta qualità essendo stata costruita dalla compagnia British Petroleum proprietaria della raffineria prima della nazionalizzazione. La raffineria di Abadan forniva lubrificante a tutta la regione meridionale dell’Iran e dell’Irak, essendo sul fiume Karoon. Una scuola italiana con insegnanti italiani istruiva i figli degli espatriati e c’era un ospedale iraniano con medici inglesi, strutture che davano sicurezza al personale, tanto che alcune famiglie hanno fatto nascere qui i loro figli. Ho vissuto 5 anni in quel paese. Ho potuto coronare un mio sogno sposando una maceratese conosciuta fin dall’età di 10 anni e abbiamo avuto in Iran la prima figlia alla quale abbiamo dato il nome di Barbara, in onore alla patrona dei petrolieri. Questa era la vita che la politica di Enrico Mattei ci riservava: ci seguiva e ci proteggeva con welfare appropriati. Ottenendo questo trattamento anche noi davamo il massimo, lavorando alacremente con uno spirito di corpo che ci univa tutti, nel bene e nel male. A Enrico Mattei devo la mia vita e la mia fortuna. Grazie a lui sono riuscito a trovare un lavoro che sì mi ha obbligato ad abbandonare Macerata, i genitori e i miei fratelli, ma mi ha dato l’occasione per costruire un avvenire di-gnitoso, lavorando per 40 anni con e senza famiglia in paesi esteri quali Indonesia, Arabia Saudita, Libia, Angola, Congo, Egitto, Norvegia, Inghilterra, con gli ultimi 5 anni in Kazakhstan. Ai tre figli ho potuto concedere una cultura universitaria, lavoro dignitoso e professionale. Tutto questo lo devo a Lui, a Enrico Mattei che mi ha aperto la strada a nord, assumendomi a Metanopoli.