Aquisgrana sì, Aquisgrana no: sono solo da aggiornare le conoscenze

L’eco del 58esimo Congresso del Centro Studi Storici Maceratesi si sta spegnendo e “al lavoro usato ognuno in suo pensier farà ritorno”, come scrisse il nostro grandissimo Giacomo. Cessati i battibecchi resta il problema che potremmo definire culturale, di come si siano formate e come si siano propagate le informazioni di ogni genere, storia del nostro passato compresa. Mi sento, essendo ottuagenario, di ricordare le situazioni in cui venni coinvolto professionalmente e che hanno radicalmente cambiato il modo e la velocità delle informazioni anche di quelle cosiddette “culturali”.

Quando avevo quattordici anni, il Ministero della Pubblica Istruzione, imponeva di scegliere l’indirizzo di studi per prepararsi al futuro: le strade erano due e ben distinte: il percorso del Liceo che apriva le porte delle Università e quello degli Istituti Tecnici, che terminava con un diploma di perito industriale, geometra o ragioniere. Iscriversi al Liceo (lo decideva la famiglia ovviamente) significava un percorso almeno decennale di studi, fare il perito solo cinque. Perciò il discriminante era il “fiato” che le risorse famigliari avevano per mantenere un figlio agli studi. Alla fine degli anni ’50 a noi “studenti medi” degli ITIS a cui l’Università riservava semmai Economia e Commercio, noi che avevano una preparazione tecnica e un poco di “cultura generale” aspiravamo al “Politecnico” e a suon di manifestazioni di piazza ottenemmo la parificazione dell’ITIS col Liceo per frequentare l’Università. Ne ho beneficiato quindici anni dopo.

A quel tempo lontano la tecnologia faceva passi da gigante e mentre nei Licei e nelle Facoltà Umanistiche si continuava a insegnare i classici sui libri, chi era impiegato nell’industria e soprattutto quelli della ricerca tecnologica si dovevano adeguare a quel nuovo mezzo potentissimo che era l’elaboratore elettronico, noto come computer. Quando entrò nell’industria il computer era un macchinone grande come un armadio e cólto come un neonato, le prestazioni si misuravano in kilobytes, e non solo dovevi conoscere il suo sistema operativo e almeno uno dei linguaggi di programmazione del tempo (i più noti il Cobol e il Fortran) ma soprattutto lo dovevi programmare perché facesse cosa ti serviva. Saper programmare richiedeva di esprimere cosa volevi attraverso costrutti rigorosamente logici perché la macchina non accettava istruzioni illogiche paragonabili ai “voli pindarici”, il brutto di questi metodi è che non si dimenticano. Gli studenti di discipline “classiche” o “letterarie” continuavano a trarre dai classici libri di testo le fonti del loro sapere. Il computer intanto era diventato un bestione enorme con migliaia di terminali, ma questo era un inghippo per i dirigenti intermedi delle grandi aziende internazionali che dovevano mettere tutte le loro informazioni in un unico centro le cui chiavi erano in mano del cosiddetto EDP Manager, l’uomo del computer, che poteva sapere tutto di tutti. Le lotte per la carriera erano compromesse e i manager smisero di affidare al cervellone le loro informazioni più importanti, e la computerizzazione smise di diffondersi.

Grosso problema dopo un mare di investimenti nella microelettronica, che tale Bill Gates e soci, risolsero convincendo la IBM, il colosso dell’informatica USA, a produrre il Personal Computer, con un programma applicativo di nome Windows, dotato di tutta una serie di applicazioni che permettevano di usarlo senza essere degli informatici. Così, spiegavano i venditori del prodotto, ciascuno poteva avere la propria “sand box”, ci lavoravi, ma non usciva niente, espediente nato per far giocare i bimbi americani senza sporcare il giardino. Il successo fu travolgente, ma i manager dovevano però comunicare fra loro e Bill inventò la “rete” che poi estese “world wide web”. Questo sistema visse per un decennio e più negli ambienti dell’industria privata, mentre i classicisti continuavano a studiare sui testi a stampa.

Oggi il mondo dell’informazione viaggia, pure sui telefonini, non a “kilo” bit ma a molti “giga” bit e chiunque può accedere a tutte le informazioni che dappertutto tutti mettono in rete.  Così un treiese che ha un amico in Canada è casualmente informato che alla biblioteca di Toronto c’è l’unica copia residua di un libro del 1600 stampato a Parigi che parla dei Franchi, informazione che senza internet non sarebbe mai uscita dalla biblioteca canadese. Quel testo dice che il nome “Franco” significa libero da gravami fiscali, significato giuridico valido ancora oggi, la copia su pergamena dello stesso testo antico, alla Biblioteca Nazionale di Parigi dice che Franco è un complimento per l’audacia e l’ardimento dei guerrieri. Siccome non si campa di complimenti, anche se imperiali, io credo alla prima spiegazione perché in concreto implica soldi.

Oggi, il liceale che è diventato professore di lettere sui libri senza disporre di altri confronti, e la storia l’ha assorbita dai testi che i suoi insegnanti adottarono come, a esempio, quelli che scrisse Francesco Cognasso a Torino, quando la “triplice” imponeva agli atenei la visione storica presentata dalla fondazione M.G.H tedesca, quel professore oggi insegna quella storia da una vita. Oramai non gli interessa più sapere che quella fondazione germanica, al motto “amor patriae dat animum” personalizzò la storia del medioevo a fini politici interni, trascrisse i documenti e si tenne gli originali. Per far questo l’M.G.H. nell’Ottocento scese a compromesso con gli storici francesi a cui lasciò la gestione dei Merovingi. Oggi acqua passata non macina più e quel campanilismo è defunto, ma la storia comunque ristagnava.

A smuovere le acque avvenne che trent’anni fa, un Salesiano che non faceva lo storico, lesse il martirologio di San Marone scritto da Andrea Bacci (elpidiense del ‘500) e lo collegò a uno strano rogito in latino maccheronico riportato dai testi letterari (e non storici) noto come “carta osimana”, venne incuriosito dalla donazione di una chiesa che era “edificatu nu plano de Ara Grani vocatu”. E ci scappò Aquisgrana in Val di Chienti. La rete ha fatto il resto, mettendo online migliaia di testi e documenti sconosciuti, che dormivano sparsi in giro per il mondo e diversamente inarrivabili.

Medardo Arduino

2 febbraio 2024

Sii il primo a dire che ti piace

Commenti

commenti