Da molti anni, cerco di evidenziare l’importanza dell’antica civiltà Picena, anche grazie agli scambi culturali ed economici che i Piceni avevano con altri popoli gravitanti sull’Adriatico (qualcuno segue, ma non cita la fonte) e la presenza dei pirati in questo mare deve essere considerata una prova della ricchezza di prede: i corsari mai hanno navigato per diporto. Per aver chiarimenti consulto i seguenti sacri testi:
1) “Dizionario della lingua italiana Nicolò Tommaseo volume quinto ed. 1924: “pirata e pirato: Chi corre il mare per predare legni (barche) al solo fine di rapina, … come il corsaro fa. Sesto Pompeo, figliolo del Magno teneva il mare talmente occupato, essendo egli divenuto pirata, che per modo alcuno in Roma non potevano giungere vettovaglie … dalla Sicilia … (la storia va distinta dal campanilismo).
2) “Treccani enciclopedia dei ragazzi”: “Venivano definiti pirati solo coloro che assaltavano e depredavano navigli… Nel Mar Mediterraneo la pirateria è un fenomeno antichissimo: ad assaltare le navi per depredarne i carichi erano Fenici, Greci, Illiri, Liguri, Etruschi… (non sono citati altri mari e altri pirati. Perché? L’Illiria e la Dalmazia possono essere considerate dirimpettaie all’antico Piceno: non era comodo pirateggiare nell’Adriatico?). I pirati … non agivano al solo scopo di arricchirsi, con navigli agili e leggeri … I Romani organizzarono a più riprese flotte incaricate di debellare la pirateria. Gli Arabi e i Normanni … furono visti … come pirati che cercavano di espandere la propria area di influenza (Mamma li turchi!). Dal 12°-13° sec. si trova traccia di navigli privati autorizzati … ad azioni di guerra contro navi nemiche che potevano … essere depredate e distrutte. Nell’età moderna i corsari diventarono protagonisti del secolare conflitto tra Francia e Inghilterra”.
Non soddisfatto, mi sono impegnato nella ricerca di altre fonti relative a “Cesare catturato dai pirati” ed ecco il risultato ottenuto:
1) Aviso de favoriti et dottrina de cortigiani – tradotto dallo spagnolo in italiano per Vicenzo, edito in Venetia – M. D. III 1. “Pagina 169: “Cesare fu preso dalli pirati nel mare adriatico … egli con grande voce disse, non mi pesa d’essere prigione, ma me ne duole solamente del piacere che n’avrà Marco Crasso mio nimico. Fu suo Maestro un filosofo detto Alessandro il quale egli teneva come padre ne consigli, come fratello nel governo, come amico nelle fatiche e come precettore nelle lettere. Questo Alessandro andò continuamente con lui diciotto anni, nella fine de quali li chiese licenza di tornare alla sua patria e nella sua casa”.
2) Storia di Giulio Cesare di Napoleone III (1852-1870) tradotta da Giulio Minervini, Editore Le Monnier – Firenze,1865.
Questo testo deve essere considerato molto affidabile in quanto nella premessa è dichiarato: “La verità storica esser dovrebbe sacra al pari della religione … gli ammaestramenti della storia … suscitano in noi l’amor del bello e del giusto e l’odio di ciò che pone ostacolo al progresso dell’umanità … È mestiere che i fatti siano narrati con scrupolosa esattezza, che i rivolgimenti politici o sociali siano filosoficamente analizzati … Lo storico dee scoprire il segreto della trasformazione delle società. Ma scrivendo la storia, qual è il modo di giungere alla verità? Seguire le regole della logica”.
Princìpii ammirevoli. Ma troppo spesso la leggenda si fa beffe della logica e del buon senso. Per millenni si è voluto far credere che le lande selvagge del Piceno siano state occupate e civilizzate da giovani Sabini, guidati da un picchio. La storiella non sta in piedi: il picchio è, da sempre, un uccello stanziale, pessimo volatore (come si desume anche dalle tavole Eugubine: descrizioni di riti sacri riferibili ai tempi di Tito Tazio). Si reputano opportuni altri brani:
Pagina 118 – “Gli Istriani, i Liburni, e gli Illirî erano nazioni più da temere per i loro corsari, che per le loro milizie; le loro barche leggere e veloci coprivano l’Adriatico e impacciavano la navigazione fra l’Italia e la Grecia. Nell’anno 524, gli Illirî mettevano in mare cento lembi (piccoli bastimenti, sottili legni a vela eccellenti per la pirateria, chiamati anche liburne, dal nome del popolo che li adoperava). L’Istria conteneva una popolazione molto più grande, in rapporto alla sua estensione … la Dalmazia ed il rimanente dell’Illiria … non era giunta a quell’alto grado di prosperità che acquistò poi colla fondazione di Tergeste (Trieste) e di Pola. La conquista romana liberò l’Adriatico da’ corsari che l’infestavano”.
Pagina 296 – “Dopo aver fatte le prime prove all’assedio di Mitilene, Cesare servì sulla flotta del proconsole P. Servilio (676), al quale era stato commesso far la guerra ai pirati di Cilicia, e che poi ricevette il soprannome di Isaurico quando s’impadronì di Isarira, principale loro asilo, e conquistò una parte della Cilicia. Tuttavia poco tempo rimase con Servilio, ed appena riseppe la morte di Silla, ritornò in Roma”.
Pagina 300 – “Nell’inverno del 678… Cesare lasciò nuovamente l’Italia, colla intenzione di andare in Rodi a perfezionare gli studî. Questa isola, in quel tempo era centro de lumi e soggiorno dei più celebri filosofi, era la scuola de’ giovani di buone famiglie; lo stesso Cicerone eravi andato a ricever lezioni alcuni anni prima. Nella traversata, Cesare fu preso da alcuni pirati presso Farmacusa, isoletta dell’arcipelago delle Sporadi all’entrata del golfo di Lasso (ottimo rifugio dei pirati). Questi pirati, anche se vi fosse la guerra di P. Servilio Isaurico, infestavano continuamente il mare con numerose flotte; essi gli domandarono per riscatto venti talenti. Egli ne offri cinquanta il che dovea dar loro alta idea del prigioniero, ed a lui assicurare miglior trattamento; mandò suoi fidi, fra i quali Epicrate, uno de’ suoi schiavi milesi, a ricercar la somma nelle vicine città. Sebbene le province e le città alleate fossero in questo caso obbligate di fornire il riscatto, non è però meno singolare vedere un giovane di ventiquattro anni, arrestato sopra una isoletta dell’Asia Minore, trovare immediatamente a prestito una grandissima somma.
Pagina 301 – “Rimasto solo con un medico e con due servi, in mezzo a quei feroci ladroni, li tenne in riguardo con l’animo superiore e passò circa quaranta giorni a bordo del loro naviglio senza scioglier mai né i calzari né la cintura, per non dar loro sospetto ch’ei tentasse di fuggirsene a nuoto. Anziché un prigioniero, dice Plutarco, ei sembrava un principe circondato dalle sue guardie; ora scherzando con essi, ora recitando loro poemi, facevasi amare e temere e diceva loro ridendo che quando sarebbe in libertà li farebbe mettere in croce. Tuttavia gli tornava a mente la memoria di Roma e gli richiamava al pensiero le contese e le inimistà che vi avea lasciate. Udivasi dir sovente: «Quanto ne godrà Crasso, sapendo l’attuale mia condizione!» Egli pagò il suo riscatto, appena l’ebbe ricevuto da Mileto e da altre città. Sbarcato sulla costa, fu sollecito ad equipaggiar vascelli, impaziente di vendicarsi. I pirati, sorpresi mentre erano nella rada dell’isola, furono quasi tutti fatti prigionieri, ed il loro bottino cadde nelle sue mani (di Cesare e sembra non sia mai stato restituito). Egli (Cesare) mandolli in deposito nella prigione di Pergamo, per consegnarli a Giunio Silano, proconsolo di Asia, a cui spettava punirli. Ma Giunio, avendo intenzione di venderli per ricavarne profitto, diede risposta evasiva. Cesare ritornò in Pergamo e li fe’ mettere in croce. (Si riporta anche la nota a pie di pagina: “Svetonio Cesare, LXXIV.- Velleio Pate: Come atto di umanità, che soltanto i loro cadaveri sieno stati messi in croce, perché Cesare li avea fatti prima strangolare per abbreviare la loro agonia”). Andò (Cesare) poi in Rodi per udire lezioni di Apollonio Molone, il più rinomato fra i maestri di eloquenza di quel tempo, il quale era già andato in Roma, nel 672, in qualità di ambasciatore di Rodî”.
Pagine 302/303 – “Intanto Eumachio, luogotenente del re di Ponto, devastava la Frigia, vi trucidava tutti i Romani ed occupava molte province meridionali dell’Asia Minore. Le voci di guerra, i pericoli ai quali gli alleati erano esposti, tolsero Cesare dai suoi studî. Egli andò in Asia, raccolse di propria autorità alcune milizie, scacciò dalla provincia il governatore del re e mantenne nell’obbedienza le città di fede dubbia o vacillante.
VI – Mentre egli guerreggiava sulle coste di Asia, i suoi amici di Roma non l’obliavano e lo fecero crear pontefice. Questa circostanza l’obbligò di ritornare in Roma. Il mare continuava ad essere infestato dai pirati, i quali dovevano serbar rancore contro di lui per la morte dei loro compagni. Per isfuggir loro più agevolmente, attraversò il golfo Adriatico (canale Otranto – Valona) in una barca a quattro remi, accompagnato soltanto da due amici e da dieci servi. Nel tragitto, credendo scorgere alcune vele all’orizzonte, strinse la spada, pronto a vender caro la vita; ma i suoi timori non si avverarono, e approdò sano e salvo in Italia.
Nota: Cesare ritorna in Italia e non a Roma. Cesare sa bene che l’Italia comincia dal Rubicone (alea jacta est); nel 676, aveva combattuto e vinto i pirati di Cilicia. Doveva essere sicuro che il rientro in Italia attraverso il mare Adriatico era più rapido e meno rischioso. La tranquillità si raggiunse in seguito alle superbe operazioni militari di Pompeo Strabone e Pompeo Magno (di origine Picena), vedi: Storia di Giulio Cesare – pagina 332): “Pompeo divise le coste del Mediterraneo, dalle colonne di Ercole sino all’Ellesponto, e le coste meridionali del mar Nero, in dieci separati comandi, pose uno dei suoi luogotenenti alla testa di ciascuno di questi comandi. Riservando per sé la sorveglianza generale, recossi in Cilicia col rimanente delle sue forze”.
Considerazioni: da quando sopra si deve desumere:
- A) Con “Mediterraneo” si possono intendere altri mari (Adriatico compreso), anche se non espressamente citati. Il sequestro di Cesare conferma la presenza di bande piratesche (descritta anche in altri testi). Molto probabile che i pirati dell’est, una volta approdati sulla costa italiana, abbiano “visitato” anche l’interno del territorio: forse anche per questo i Piceni preferivano le alture. Sulle nostre colline sono stati raccolti numerosi reperti Piceni. I reperti sulla costa adriatica, più rari, dimostrano la presenza di porti commerciali.
- B) Si crede attendibile il ritorno di Cesare: via Adriatico e Salaria (percorribile dal 40 a. C.)
- C) Il Piceno, fino al 268, fu fedele alleato di Roma e fornì ospitalità e magnifiche legioni; una parte del suo territorio fu chiamato Piceno Annonario (per la fornitura di alimenti a Roma).
- D) Treccani: la costruzione dell’Appia Antica iniziò nel 312 a.C. l’impresa durò secoli. Al tempo di Cesare poteva non essere tutta agibile.
- E) Treccani: “Salaria: Antica via che univa Roma a Castrum Truentinum (Porto d’Ascoli) sulla costa adriatica. Era già in funzione al principio del IV secolo a.C.
Ma il tracciato era Roma/Ascoli o Ascoli/Roma? Vedi anche: https://www.larucola.org/2016/03/29/salaria-via-del-sale/
http://larucola.org/2016/04/20/le-salarie-picene/
http://centrostudisanclaudioalchienti.blogspot.com/2016/12/strade-romane-nel-piceno-cura-di.html
Nazzareno Graziosi
6 gennaio 2024