“Li penzieri mia… dettati dal mio cuore”: Bruno Francinella e il dialetto civitanovese

Anche il dialetto di Citanò è arrivato in redazione grazie al libro “Li penzieri mia… penzieri dettati dal mio cuore”, scritto da Bruno Francinella e stampato da Stampalibri di Macerata.

Il dialetto civitanovese è molto simile a quello che percorre tutta la vallata del fiume Chienti: parlata più stretta, dalle accentazioni più gutturali quella dei paesi di montagna, che si addolcisce nelle terminazioni e nelle tonalità nel percorso collinare per arrivare sulla riviera, ancora leggermente modificato e con una diversa musicalità, per via delle contaminazioni portate dal maggior transito di persone da nord a sud e viceversa.

Un lavoro che potrebbe sembrare modesto, quello di Bruno Francinella, forse per via delle 57 pagine che lo compongono ma non è il numero delle facciate a certificare la qualità, bensì il contenuto. Va anzitutto detto che è un libro di poesie, il quale nelle pagine pari presenta il testo in italiano e in quelle dispari il testo con la traduzione dialettale. Il che aiuta e facilita la lettura e la comprensione del vernacolo.

L’autore scrive sulla copertina che sono pensieri venuti su dal cuore ed è vero, lo si evince dalle tematiche affrontate che sono tutte di ambito familiare e amicale. Scorrendo i versi si scoprono i personaggi civitanovesi (de lo pòrto) degli anni passati, specie quelli della via dove Bruno ha trascorso l’infanzia, via Pola. E scorrono via Tetella, Ninella, la Massetta, Gina Paravaffi, Rosanna la Labbrona, Maretto de Muragna, le Patacchelle, il pane di Firmina e così via con nomi e soprannomi… e c’è pure sòr Piè che ha fatto magnà a tutti / co’ ‘lla vutteguccia! Dalla vita di via Pola ha tratto insegnamento Bruno, quando scrive che perzò che ssiàmo su ‘lla via! / Ci si rispettava e ce volìamo vè’! / C’era allegria, tando amore e / la spenzieratezza de ‘lli tembi. / Che scòla… che c’ha fatto via Pola!

In genere tra i personaggi trattati dai poeti dialettali difficilmente può mancare il barbiere (fantastico quello di ‘Ntunì de Tavarrò che sputava sul pennello prima d’insaponare…), così tratteggia il “suo” il signor Francinella: Su ‘sto paese sì un’istituzio’! / Si un fijo d’arte / ma anche un jiocatò’. / Te piace a candà, / a ffà tanda ciurluata / e ‘na varzelletta / non t’è mai mancata! / Si lo confessore / lo confidente / l’amico mattacchio’. / Si lo varbiere mia… / caro Roberto Spanò. Non lesina versi al babbo, alla moglie, ai figli, agli amici, anche a quelli che non ci sono più, non si salvano compleanni e sposalizi e manco il medico.

Ma una famiglia non è composta solo dai parenti, perché trai piedi c’è anche una cagnetta…Riccetta e a pelo viondo / d’è la cagnetta mia. / De tajia mezz’ardezza / d’è la statura sua. / ‘Na macchia vianga porta su lo petto / e pure li carzitti ce s’ha fatto! / Co’ lo guinzajio non è ‘bbituata / perché d’è ‘na cagnetta ve’ ‘ducata. / Ma quanno io pe’ fforza jielo metto / “Oh và!” me fa capì co’ ll’occhi / “Quesso d’è un dispetto!” / S’era appena finito de magnà, / la cagna stava sotta lo taulì, / io la s’ò chiamata: / “Venne quà, venne quà da vabbo, / fatte ‘ccarezzà!” / Quanno s’ò pijato su le mane lo musetto / m’ha parlato co’ lo sguardo, / lo sguardo de ‘na stella: / “O và’, te vojio vène / io sò’ Gancia… Francinella!.          

Fernando Pallocchini

18 novembre 2023

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