Un metodo caduto in disuso sta tornando attuale: il pagamento in natura, col baratto

Nelle nostre campagne, almeno fino al II dopoguerra, si produceva essenzialmente per l’autoconsumo, quindi nella famiglia patriarcale circolava poca moneta, quella derivata dalla vendita di uova e animali di bassa corte ed era di solito gestita dalla vergara per le piccole spese di consumo, mentre il vergaro gestiva il più consistente ricavato dalla vendita del grano, destinato per lo più all’accantonamento per le spese, diciamo così, d’investimento sul podere.

Era quindi giocoforza il ricorso al pagamento in natura di quante più prestazioni possibile: occasionalmente succedeva ai contadini di andare al mercato non con il borsellino delle monete ma con un paio di polli o di conigli o qualche decina d’uova per comprare un paio di scarpe, una maglia, o solo fiammiferi, zucchero e sale. Sistematicamente il sarto, il calzolaio, il calderaio, il maniscalco o il fabbro facevano i loro interventi quando serviva ma non venivano pagati di volta in volta, bensì una volta all’anno dopo il raccolto; e venivano compensati in natura, con un quantitativo differenziato di frumento. Ciò non derivava solo dalla carenza di contante tra i contadini ma c’era una corrispondente duplice esigenza dell’artigiano, che da una parte lavorava per soddisfare anche lui il bisogno di sfamare la famiglia e, d’altra parte, contava l’orgoglio artigiano di veder riconosciuta la propria capacità professionale di risolvere problemi e soddisfare bisogni più che di veder rimborsate le singole prestazioni come un operaio qualsiasi (già Cicerone in De Officiis, 1, 8 ammoniva: “sono disprezzabili i guadagni dei mercenari e di tutti quelli dei quali sono pagati i lavori e non i talenti”).

Gli economisti, parlando del baratto come della più antica forma di scambio commerciale di beni, anteriore alla moneta, pensano che potrebbe esser nato per garantirsi un risparmio, possibile solo acquistando beni non deperibili il cui valore si mantenesse nel tempo, a me pare che possa esser nato per una semplice messa in comune delle competenze: io do a te ciò che ho e tu dai a me quello che sai fare. In effetti il valore di equivalenza tra i beni scambiati nel baratto è sempre approssimativo: c’è sempre implicata una parte di dono, di reciproca fiducia. E di fatto il baratto era un contratto non scritto, sancito con la semplice stretta di mano.

Ricordo che c’erano degli artigiani che passavano in casa per raccogliere le commesse di lavori da svolgere poi nella bottega in paese con l’attrezzatura fissa lì disponibile. Invece molti artigiani, soprattutto in tempi meno recenti, passavano di casa in casa col seguito dei figli, facevano in loco i loro interventi e si trattenevano a pranzo con la famiglia contadina, particolarmente ospitale con loro, ai quali aprivano la cantina e le riserve alimentari di qualità come salsicce e salami: succedeva così per fabbri o maniscalchi che tagliavano le unghie a tutte le mucche da lavoro, le ferravano, saldavano gli attrezzi rotti e affilavano quelli da taglio; succedeva per il calderaio che arrivava col carretto carico di attrezzi per rattoppare pentole e caldai, per integrarne la stagnatura  e la ramatura, per cucire brocche rotte, vassoi smaltati, vasi e pignatte. Mia suocera (104 anni) ricorda addirittura che in tempi più risalenti gli “artigiani girovaghi” si fermavano anche per giorni e settimane presso le famiglie patriarcali, le quali tenevano in casa uno spazio con letto apposta per loro: in quei giorni i sarti, per esempio, tagliavano, misuravano e cucivano camicioni e vestiario in genere per la festa o per il lavoro di tutti i familiari.

Questa tradizione del lavoro a cottimo, basato sul baratto, raccoglieva -dunque- due differenziate figure significative nella storia dell’artigianato, quella degli artigiani girovaghi (o “artigianato rurale”) che, in quanto fabbricanti o riparatori di attrezzi agricoli, facevano parte pressoché integrante dell’unita produttiva agraria con scarsa differenziazione delle competenze, e la figura degli artigiani urbani che ab antiquo, dal tempo dei Comuni in poi, dopo il Mille, si specializzano (i fabbri da fabbri ferrai diventano armaioli), diventano custodi gelosi delle proprie competenze professionali, le fissano negli statuti delle diverse corporazioni, si sentono parte della borghesia e chiedono potere politico, a differenza degli artigiani rurali che si sentiranno più solidali con operai e contadini e parteciperanno alle lotte proletarie. È dagli artigiani rurali (che, peraltro, sopravviveranno meglio alla moderna industria, la quale soppianterà invece l’artigianato urbano) che nascerà la capacità contadina di lavoro universale; i giovani agricoltori rubavano con gli occhi le tecniche dei vari mestieri facendo apprendistato non in bottega ma, è proprio il caso di dirlo, sul campo; ne facevano tesoro integrandolo in quel loro caratteristico saper-far-tutto: si tagliavano i capelli tra loro, erano falegnami, arrotini, panettieri, cordai, norcini…

Per concludere dirò che il baratto, nell’attuale fase di crisi, sta tornando d’attualità. Pure al settore agricolo serve scambiare con servizi e altre merci le eccedenze e le scorte d’invenduto alimentare. Si va diffondendo la pratica della vacanza in Italia scambiando l’ospitalità con lavori manuali o consulenze; in Grecia si è potuto pagare il biglietto di spettacoli teatrali con pasta e pane. Di più: il Decreto Sblocca-Italia nel 2016 ha istituito il Baratto Amministrativo (poi di fatto applicato anche in comuni marchigiani come Visso), cioè la possibilità di pagare tasse come TA.RI e IMU pulendo le strade o partecipando ad altri progetti strutturati di utilità sociale. Il nuovo baratto non è solo, dunque, ritorno (obbligato o nostalgico) al passato, può essere esperienza progettuale di sviluppo sostenibile come dimostrano le numerose “bancarelle del baratto”. Intanto tutto ciò che da usato ritrova una nuova vita e non finisce in discarica è un guadagno ambientale, ma può essere anche esperienza di consumo critico; in una società consumistica che ci chiede continuamente di aprire il portafogli, il baratto può valere come atto di resistenza perché recupera l’aspetto umano della relazione commerciale: in bancarella non si scambiano solo giochi, libri, abiti o accessori ma anche sorrisi e confidenze!

Enzo Monsù

22 settembre 2023

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