“Stepchild adoption” da membro di coppia omosessuale a Pesaro: commento del PDF

Commenta Fabio Sebastianelli, coordinatore regionale marchigiano del Popolo della Famiglia, una recente intervista al presidente dell’Arcigay di Pesaro per la riconosciuta adozione di un bimbo da parte di uno dei due membri di una coppia omosessuale: “In questi giorni il mondo lgbt  e in particolare l’Arcigay di Pesaro, sta esultando per la sentenza marchigiana di stepchild adoption (adozione di un figliastro/a)  emessa per  una coppia arcobaleno. Senza entrare nel caso in questione, vanno fatte alcune considerazioni generali sull’utero in affitto.

Fermo restando che un bambino ha diritto ad avere  una madre e un padre ha anche il diritto di non essere trattato come un oggetto di compravendita, quindi iniziamo con lo sfatare alcuni miti che vanno tanto di moda ultimamente: 

l’utero in affitto (chiamiamolo col suo vero nome, non con eufemismi del tipo: gestazione per altri o maternità surrogata) non è a titolo gratuito. Non è l’atto di bontà di una signora che si offre di aiutare una coppia che non può (in caso di unioni omosessuali tra due uomini per ovvi motivi) avere bambini. Il costo per l’acquisto (tutto compreso) negli USA, varia dai 120.000  ai  160.000 dollari.

Colei che affitta l’utero, poi, non deve per forza essere economicamente indipendente. Può essere anche disoccupata. Addirittura  il compenso dato a una disoccupata varia rispetto a quello di una occupata. Da 60.000  a 85.000 dollari per le disoccupate e da 67.000 a 92.000 dollari per le occupate. Più varie indennità e bonus. In entrambi i casi, chi lo fa è una donna economicamente debole.

La venditrice di ovuli (anche qui il termine “donatrice” è un eufemismo) non è una signora gentile che dona il suo ovulo ma costa, negli USA (il costo varia da  Stato a Stato) dai 5000 ai 20.000 dollari più le spese. Oltre a essere in  buone condizioni di salute, sono richieste alla venditrice  altre caratteristiche: deve avere un’età compresa tra i 20 e i 28 anni ed essere una studentessa universitaria o laureata (di solito usano quei soldi per pagarsi gli studi che non potrebbero permettersi altrimenti se non indebitandosi fino ai capelli).  In più  deve avere un’altezza minima di 154 cm e un BMI (indicatore di massa corporea) di 25 o inferiore. In parole povere non deve essere ne troppo bassa ne  in sovrappeso“.

“Questa -conclude Sebastianelli-  è la verità sull’utero in affitto. Una vera e propria compravendita. Qualche secolo fa alle persone  comprate veniva dato un nome ben preciso: Schiavi. Chi aveva soldi aveva il diritto di comprare uno schiavo. Oggi la compravendita di persone (la peggiore perché si tratta di bambini indifesi) viene chiamata, in maniera politicamente corretta, ‘diritto  ad avere un figlio’ . Ma i figli sono un dono nato da un atto d’amore tra un uomo e  una donna, il pagamento per ottenere un bambino non è un ‘atto d’amore’ e questo vale anche per le coppie etero. Il Popolo della Famiglia si augura che l’utero in affitto sia dichiarato reato universale anche per chi lo utilizza all’estero. Se si vuole tutelare davvero i bambini, allora li si riconosca come persone (sempre!) evitando che vengano trattati come oggetti di compravendita”.

Fabio Sebastianelli

22 agosto 2023

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