Movimento artistico maceratese degli anni ‘60

Agrà – Agràma – Agravitazionale

 

il-cuboSe non son matti non ce li vogliamo! Detto in dialetto suona certamente meglio ma deflagra in un ambito necessariamente più ristretto. Dunque, “Se non son matti non ce li vogliamo” avrebbe potuto essere il motto, o il sottotitolo del movimento “Agrà” o “AGRÀma,” dove AGRÀ sta per “Agravitazionale” e “ma” per Macerata. Fondato appunto nella nostra città per una “matta” intuizione di Sante Monachesi con la collaborazione di Silvio Craia e Giorgio Cegna, cofondatori e primi discepoli, si impose negli anni ‘60 come movimento contestatario e di rottura: in realtà aveva fondamenti filosofici alquanto razionali, e ben chiaro sin d’allora il concetto di audience. Le cose normali sono di nessun effetto, quelle invece dichiaratamente strambe sono di gran richiamo: c’è dietro a questa logica tutto l’estro inventivo ed energetico di Monachesi, traduttore, anche in questo caso, del lascito futurista. Il concetto della agravitazionalità richiamava un’idea di distacco dalle cose grevi che avvinghiano e si lasciano schiavizzare dal mondo. Dunque una liberalizzazione esente dal pensare comune, da quel il-gruppocerto buon senso che spesso non è altro che la normalizzazione degli egoismi e delle vanità dominanti. Riflettendoci su, la pazzia degli Agrà è la stessa dichiarata da San Paolo, sebbene, nel loro caso, in un’accezione più limitata e mondana; in tal caso l’orientamento religioso e trascendente si riduceva a un afflato idealistico e civile riguardante l’arte, naturalmente, ma anche la politica, l’economia, il costume e quant’altro. Il pacifismo, la solidarietà tra Paesi, la contestazione del consumismo, erano i temi di volta in volta affidati all’efficacia apodittica e tautologica (termini dichiaratamente Agrà!) dell’arte. Il cubo di Baia Domizia (all’epoca località balneare di grande richiamo turistico e mondano), invenzione di Monachesi ma realizzato dal gruppo e criticamente promosso da Elverio Maurizi, altro non era che la materializzazione di questi concetti. Un cubo di legno e tela grande quanto un capanno da spiaggia, che Monachesi decise di abitare per protesta sino a quando fosse durata l’occupazione della Cecoslovacchia da parte delle truppe sovietiche. Isolandosi per modo di dire, in realtà giornalisti e fotografi si appostarono per giorni a scrutarne le mosse, per ricavarne ampi servizi su settimanali popolari e scandalistici. Il critico-poeta Emilio Villa così si espresse in la-performanceproposito: “Geniale, Geniale! Monachesi è uno scultore geniale. Genio delle irruzioni ideologiche caduche, ma destinate ad altri tempi, a sceneggiature future, acrobazie occhiute… Poi tagliano la corda nell’agravitazionale, e addio, gravitazione”. Tutto questo Silvio Craia, con l’intervento di Giorgio Cegna, ha voluto evocarlo con una mostra a Ripe San Ginesio (il Comune e altri se ne son fatti complici), una rassegna durata appena una settimana, in ricordo di una stagione artistica breve, ma d’efficacia dirompente. Agrà è senz’altro da considerare una filiazione del Secondo Futurismo. Forse anche per questo Macerata ha conservato nelle Marche fama di città attenta e sensibile all’arte d’avanguardia. Ma di tempo ne è passato, e i colori, quelli fluorescenti dei nostri eroi Agrà, applicati alla realtà attuale appaiono alquanto sbiaditi…

Lucio Del Gobbo

 

 

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