Antichissima usanza: perché si coprono gli specchi quando muore qualcuno?

In un passato non molto lontano il funerale era ben diverso da quello che vediamo oggi. Facendo un raffronto, i cambiamenti sembrano piccoli ma, in realtà, molte cose stanno mutando. Si pensi alle Case del Commiato, per non avere il morto in casa, o alla Cremazione per risparmiare sul loculo e sulle altre spese legate ai funerali.

Una volta, solitamente, il decesso avveniva in casa, più raramente in ospedale. I familiari avevano molto a cuore di fornire al moribondo tutti i conforti religiosi e i congiunti più stretti si occupavano della vestizione e della sistemazione della salma, in modo che avesse una postura composta e dignitosa: legavano i piedi fin quando non fossero restati in posizione corretta, a seguito del rigor mortis; fasciavano il capo, in modo che la bocca restasse chiusa; nella bara si ponevano alcuni oggetti a cui il defunto era particolarmente legato o dei quali avrebbe potuto aver bisogno nell’aldilà; la salma veniva disposta con i piedi rivolti verso l’ingresso dal quale sarebbe dovuta uscire. La veglia funebre durava anche tre giorni, per consentire ai parenti, che vivevano lontano o abitavano in campagna, di giungere in tempo per parteciparvi. La camera ardente era allestita nella stanza più grande o nell’unico ambiente nel quale si viveva, si sistemavano delle sedie intorno alla bara, si coprivano gli specchi, per evitare lugubri riflessi o vanitose distrazioni. Cerchiamo ora di capire il perché di certe operazioni come quella degli specchi.

Quando muore una persona cara, il dolore è lacerante e spesso non si ha neppure la lucidità per affrontare consapevolmente i momenti precedenti alla sepoltura, ma ci sono dei riti talmente radicati nella cultura e nella tradizione che vengono eseguiti in modo quasi meccanico. La tradizione di coprire gli specchi è antichissima. C’è, a esempio, l’usanza ebraica. Oggi, coprire gli specchi quando qualcuno muore è una consuetudine per onorare i propri cari dopo la loro morte e non se ne conoscono realmente i perché. Secondo il Talmud, un testo religioso ebraico, lo shadim o anima può entrare nella nostra dimensione “attraverso superfici riflettenti”. Alcune superstizioni irlandesi dicono che se durante la veglia un presente si osserverà allo specchio abbastanza a lungo vedrà un diavolo che lo guarda alle sue spalle. Altri, invece, credono che lo specchio riesca a intrappolare l’anima del defunto.

Ci sono speciali occasioni come il giorno di Ognissanti in cui coprire gli specchi, si ritiene, sia essenziale. Nel giorno di Ognissanti, infatti, è credenza che  il confine tra i vivi e i morti si assottiglia e gli spiriti possono passare attraverso gli specchi. Usi come quello di coprire le superfici riflettenti non hanno continente. Negli Stati Uniti, durante il funerale del presidente Abraham Lincoln tutti gli specchi della Casa Bianca furono drappeggiati con tessuto nero. Le nostre famiglie non facevano eccezione e sono tantissime le credenze e le superstizioni che coinvolgono i marchigiani. Tra queste molte riguardano la fine della vita e quello che accade dopo, comprese alcune usanze di rito durante la veglia, come appunto quella di coprire gli specchi quando muore qualcuno.

La cultura popolare nostrana ha tramandato la credenza che gli specchi, nella loro capacità di duplicare la realtà, siano in grado di catturare l’anima nella immagine riflessa, impedendo al defunto di raggiungere l’aldilà. Da qui l’utilizzo dei panni scuri per coprirli o, in alternativa, l’abitudine di girare gli specchi, con la faccia rivolta al muro. È superstizione, ma usanze come questa non hanno fatto fatica a diventare proprie della popolazione e nonostante sia così radicata nella nostra cultura questa tradizione sembra parallela a quella delle tribù sudamericane, che non dormivano nelle case in cui c’era un morto per evitare che le anime si incontrassero in sogno e scappassero insieme.

Dei vecchi mi dissero che si mettevano i panni sugli specchi per evitare che l’anima del defunto, lasciando il corpo, potesse impressionarsi nel vedere la sua immagine riflessa e smarrirsi, senza riuscire a trovare la sua strada. Altra credenza collegata è che si devono aprire anche le porte e le finestre, per permettere all’anima di uscire: se questo non viene fatto, l’anima non trova pace e rimane in casa. Si usava anche aprire le finestre quando la persona era in fin di vita, per permettere alle anime dei parenti di rassicurare e sollevare il malato. Altrove il defunto rimaneva una notte nella propria casa in una stanza con le luci accese perché potesse vedere e la sua anima non vagasse a lungo nell’oscurità. Durante la veglia notturna, poi, venivano posizionate una serie di sedie intorno al defunto in modo da permettere ad altre anime di far visita e accoglierlo nel loro mondo. Queste e diverse altre abitudini servono per assicurare i vivi in merito alla esistenza di una vita parallela.

Infine ci sono tutte le superstizioni legate agli ammalati i quali, essendo in stato di debolezza, rischiano più facilmente che l’anima possa abbandonarli. Un motivo serio per coprire gli specchi è quello di incoraggiare la quiete interiore per meglio ricordare e meditare sul defunto, ed è un segno che tutte le relazioni più intime o frivole in casa dovrebbero interrompersi. Questo dovrebbe essere ben chiaro a chi va alle veglie non per pregare ma per fare ciance! Avanti al defunto si deve essere più concentrati sul rito funebre. Guardare il proprio riflesso durante la preghiera è da considerare frivolo e tabù, questo proprio per rispetto del morto. Si copre lo specchio perché è meglio prevenire.

Fin qui è il racconto delle nostre tradizioni ma se mi permettete vi riporto cosa ha scritto la famosa sensitiva Maria Simma, per spiegarci cosa ci chiedono veramente le anime: “Vogliono che si rispetti il loro corpo e che si eviti qualsiasi profanazione. Piace loro che si versi sulla tomba acqua benedetta e si tenga acceso un cero benedetto. Le visite al cimitero fatte con amore, sono gradite e le aiutano più di quel che immaginiamo. Anche l’atto di ripulire la tomba è di aiuto, corrispondente all’amore che ci mettiamo”.

Alberto Maria Marziali

9 gennaio 2023

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