Le nostre tradizioni: Carnevale d’altri tempi, senza i carri e senza le maschere

Quello dei nostri nonni non era il carnevale di oggi, non c’erano le maschere, le donne non potevano e non dovevano mascherarsi, sarebbe stato poco onorevole e sicuramente disdicevole un tale atteggiamento, e non c’erano le sfilate dei carri. Il carnevale, però, era una gran festa.

Il ballo, assoluto protagonista e i dolci, erano le due componenti che facevano letteralmente esplodere l’allegria anche perché il periodo era un momento morto per i lavori dei campi e quindi ci si poteva scatenare dedicando tempo ai festeggiamenti. Il ballo era il saltarello che tutti, uomini, donne, ragazzi, ragazze e anche bambini, che facevano sotto la guida dei grandi i primi passi per impararlo, dovevano saperlo fare.

Tutto era, riccamente e dolcemente, “condito” con grandi quantità di varie squisitezze. Le protagoniste in ogni casa, con la ricetta segreta della vergara, erano le “frappe” poi c’erano gli “scroccafusi” , la “cicerchiata” e le “castagnole” ma ogni donna ne sapeva fare di dolci, molti altri.

Non c’erano le sfilate dei carri con le maschere, che sono “nate” grazie a Carlo Goldoni, quando decise che non poteva fare i suoi spettacoli a teatro solo per i signori e pensò di far salire gli attori, già vestiti con la maschera di scena, su una barca e solcando il Canal Grande, li portava ai cantieri e lì recitavano per gli operai; da questo si spostò poi sulla terra ferma e nacque la sfilata dei carri.

Da noi, in tempi remoti, si mascheravano solo i giovanotti vestendosi da donna. Salivano sui birocci, che erano stati agghindati con archi di rami di alloro e altre frasche e facevano il giro del paese cantando stornelli e scherzando un po’ con tutti, offrendo frappe, scroccafusi e castagnole. Ma a carnevale ogni scherzo vale per cui c’erano sempre alcuni che ne organizzavano uno, anche “pesante”, a un amico.

Avveniva così che un giovanotto si faceva truccare abbondantemente da donna, si vestiva e metteva sotto il vestito un pancione finto. All’uscita della messa domenicale si avventava sul malcapitato amico, che se ne stava tranquillo con la fidanzata, e gli urlava: “Guarda che guaio che hai fatto. Questo è tuo figlio!” mostrando la pancia. Prima che il povero ragazzo e i presenti si rendessero conto che fosse uno scherzo c’era sempre qualche minuto di panico e la reazione, a volte un po’ forte, della fidanzata del poveraccio. Svelato lo scherzo tutto finiva in una sonora e generale risata.

Certo il carnevale di allora non era come quello di oggi ma per i nostri nonni era una grande festa resa tale da due aspetti: le scorpacciate di dolci, genuini e squisiti, perché fatti in casa e il divertimento dato dal ballo e dagli scherzi. Questo giorno aveva ancora più valore perché alla festa partecipavano tutti essendo liberi, in quel momento dell’anno, dai gravosi oneri dei lavori dei campi e quindi, una volta tanto, liberi di divertirsi insieme in comunità, con tutte le persone della zona. Era un carnevale casereccio sì ma vivo e vitale.

Cesare Angeletti (Cisirino)

9 agosto 2022

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