Nel Politeama di Tolentino è stata proposta una mostra antologica del pittore Giorgio Ciommei: un avvenimento da non trascurare se si considera quale sia stata la presenza culturale e artistica di Ciommei nella sua città e in regione, e quanto siano state rare le mostre a lui dedicate in forma monografica.
Ne scrivemmo già in occasione di una circostanza analoga di molti anni fa (la mostra si teneva nel palazzo Ferranti di Tolentino nel 2002). Considerammo in quella circostanza come l’evento fosse da interpretare quale omaggio a Ciommei dalla sua città, ma anche come atto d’amore dell’artista nei confronti della sua gente. Solo con una spinta affettiva e di considerazione per un prossimo che sia veramente vicino e con cui si desideri colloquiare in clima di reciproco affetto e fiducia si possono aprire i depositi della memoria, del sentimento, e i ricettacoli più intimi e nascosti delle aspirazioni e delle idealità.
Un’antologica, questa odierna, dove lo scrupolo di evidenziare cronologicamente quale sia stata in tutte le sue fasi la ricerca pittorica di Ciommei dagli anni dell’esordio sino a oggi, è evidente. Ce n’era bisogno? Senz’altro sì, perché Ciommei è uno di quegli artisti che per pudore e ritrosia ha sempre eclissato il suo volto più autentico privilegiando altri aspetti pur degni del suo carattere e delle sue capacità.
La maggior parte degli estimatori ne conosce i suggestivi paesaggi bagnati di una luce intrisa di mestizia e nostalgia, e anche per questo raffinati e sensibili, oppure i ritratti e le sue figurine di donne un po’ osé, o di bambini, o le nature morte fatte di oggetti semplici ma ricche di atmosfera, il tutto ascrivibile fra la migliore tradizione figurativa contemporanea.
Ma non altrettanto bene si conoscono gli esperimenti di vivisezione, i corpi mutili e “assemblati” dei suoi giullari, dei suoi robot tipologici, dei suoi personaggi da commedia umana che da sempre egli raffigura nelle sue tele, o nei disegni e nelle incisioni. Nelle fasi di questa “privata” ricerca è facile cogliere quali siano stati gli entusiasmi e i riferimenti (si potrebbe anche dire i suggerimenti) che l’hanno alimentata sin dall’inizio: Picasso, Sutherland, Bacon, ma in un’accezione del tutto personale, riferibile alla propria condizione di artista che opera in provincia, costretto ad annotare più che per altri per se stesso.
Anche Ciommei ha composto una sua Guernica, associando allo scempio e al dramma di quella rappresentazione, un aspro documento, riferibile, appunto, a se stesso. Frutto, oltretutto di esperienze assimilate dalla rassegna satirica che ha reso famosa la sua città, confrontando in unica soluzione scetticismo e commozione, dramma e comicità. Non credo di offendere Giorgio Ciommei nel considerarlo un artista inquieto, problematico, che si interroga e si risponde continuamente, anche ferendo se stesso e il suo pubblico.
La sua arte è un lungo straordinario resoconto di quest’interminabile interlocuzione che egli intrattiene con se stesso. Può essere assimilata a un lungo viaggio attraverso stati d’animo e scenari esistenziali in continuo volgere: una rivoluzione, la sua, in cui la pittura e il disegno, ma anche l’incisione e la scultura, hanno avuto funzioni stabilizzatrici, di resoconto e autocoscienza. Le immagini o le forme che un artista crea servono anche a questo: a segnare un percorso, a formare un diario di bordo, a comunicare incessantemente col proprio animo.
Penso all’opera di Giorgio Ciommei come a un fermento prezioso nella cultura regionale, e certamente lo è stata, sia fuori che all’interno del suo studio-cenacolo, oltre che in seno alla Biennale internazionale dell’Umorismo nell’Arte e al Museo dell’Umorismo, che recano innumerevoli tracce del suo talento grafico, come nel territorio, attraverso la sua presenza carismatica espressa anche nel formare generazioni d’artisti e situazioni favorevoli all’arte e a una sua morale, nonché a un suo apprendimento e a una divulgazione al più alto profilo.
Lucio Del Gobbo
17 marzo 2022