Uno “scoreggioso” attrezzo del passato che ha originato il detto “parlare a… vanvera!

Chi di noi non ha mai detto “parlare a vanvera”? Tutti, se interrogati, direbbero che con questa espressione si indica una situazione in cui si pronunciano parole senza un vero fine. Si potrebbe tradurre in “parlare a caso” o “parlare a casaccio”, quindi in maniera sconveniente. Ciò, però, non fa luce su cosa è la “vanvera” e posso raccontare quanto, per caso, mi è stato spiegato da un vecchio professore di lessico e formazione delle parole. Probabilmente la parola arrivò nei nostri paesetti con i veneziani. Non scordiamo che nel 1266 i veneziani comandavano anche nelle Marche. Lorenzo Tiepolo fu podestà di Fermo e poi Doge di Venezia. Abitò in una sua rocca a Porto San Giorgio. Inevitabile, quindi l’arrivo di espressioni veneziane e, come tutte le parolacce, alcune piacquero molto. “Parlare a vanvera” fu certo tra queste. Nessuno si scandalizzi se ora spiego cosa era la vanvera. Udite udite e ricordate che era un oggetto usato da persone nobili e colte.

La vanvera

L’ampio ventaglio dell’applicazione di questa parola ha dato origine anche a usi fantasiosi, fino ad arrivare a interpretazioni colorite e volgari. Dovete sapere che esisteva un oggetto chiamato “piritera” o anche “vanvera”, simile all’antico “prallo”. La vanvera fu assai in voga presso gli aristocratici veneziani e napoletani del XVII secolo. La vanvera poteva essere da passeggio o da letto: la sua funzione era quella di risolvere i disturbi gastrointestinali dal punto di vista… di convivenza.

Spiego meglio il concetto definendo di seguito la funzione degli strumenti. Si tratta di un oggetto antico a forma di uovo, di ceramica o di legno, dotato di due fori comunicanti. Tale uovo durante i lunghi banchetti degli aristocratici veniva infilato nello sfintere anale al fine di attenuare l’effetto dei miasmi delle flatulenze. Al suo interno vi si infilavano delle erbe odorose. Il gas nell’attraversare lo strumento provocava una curiosa musichetta, tipo trombetta o fischietto. Avete capito?

Conosciuto in letteratura e nel teatro con il nome veneziano “Vanvera“, questo oggetto nasce per attutire, mitigare e camuffare le così dette scorregge. Chiaro, ora? No? Esisteva anche una versione da letto, dotata di un particolare tubo di prolunga che dal talamo arrivava alla finestra. Pare fosse molto in voga tra le donne dell’epoca, soprattutto durante la prima notte di nozze per far abituare il coniuge a certi problemi di flatulenza.

La “Vanvera Veneziana” aveva le fattezze di un uovo, collegato a una sorta d’imbuto che poteva essere allacciato in vita e trasportato comodamente, pure dalla gente comune, soprattutto dalle donne, durante una normale passeggiata o in una serata di gala. Era costituito da quattro parti e costruito in pelle per adattarlo a ogni esigenza e misura di deretano. La parte inferiore consisteva in un tubicino, chiuso da uno spago che poteva essere sciolto al momento più opportuno e lontano da sguardi e nasi indiscreti. Creata nel ‘600, è rimasta in voga fino a tutto il ‘700 per scomparire in seguito alla creazione del cappotto. Visto il particolare “rumore” caratterizzante l’uso di questo attrezzo, in segno di disprezzo per ciò che esce dalla bocca di chi parla in maniera sgradita, nacque l’espressione “Parlare come la Vanvera”.

 Alberto Maria Marziali

11 marzo 2022

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