A 300 anni dalla scomparsa ricordiamo San Pacifico Divini da San Severino Marche

Dirò dell’umiltà di San Pacifico, San Pacificu lu Santu, nel dialetto pungente di San Severino Marche in cui sono immerso sin da piccolo, una sua virtù preclara che gli deriva (uso il presente perché per me San Pacifico è vivo sempre nella mia povera vita) dalla sorgente inesauribile del Suo costante rapporto amoroso con Gesù Cristo, un tratto umanissimo, questo, che mi ha sempre commosso sino alle lacrime, io che sono duro di cuore, ammirandolo in svariati episodi della Sua mirabile esistenza terrena.

 La morte avvenne il 24 settembre 1721, di questo evento quest’anno ricorre il trecentesimo anniversario che con questo breve scritto intendo onorare indegnamente, ripagando solo parzialmente il debito di amicizia e di grazie infinite verso la Sua meravigliosa persona, uno squarcio di Paradiso aperto su tutti i suoi devoti.

La Sua popolarità resta una costante nella mia regione; sappiamo bene che la santità prima di essere canonizzata alla Gloria degli altari dalla Chiesa Cattolica, Mater Nostra, viene riconosciuta, direi quasi fiutata, dal popolo, per i segni che infallibilmente scorge. Nel suo caso questo avvenne fin dal giorno della Sua umilissima morte, amata e persino desiderata da Lui, per incontrarsi faccia a faccia con Dio. Solo il francescanesimo, nella sua genialità assoluta, ha saputo vedere così sorella morte, senza angoscia, con perfetta letizia.

La prima traccia de humilitate del Santo che Noi amiamo consiste nel Suo abbassamento terreno, nel Suo farsi piccolo, di fronte ai confratelli del Suo convento. Un abbassamento che non fu una diminuzione, una riduzione della Sua Persona, anzi costituì il vero incremento di tutta la Sua Santità nella Comunione dei Beati. Lui che era stato di fronte alla gente tutta un lettore, un predicatore e un confessore eccelso, Dio sa quanto necessitano queste figure al tempo attuale, Lui che era stato il Padre Guardiano del convento di Santa Maria delle Grazie di San Severino, si era fatto piccolo, l’ultimo dei frati. Egli di fronte a Loro si presentava tutte le sante mattine, come un mendicante elemosina il pane, a domandare di poter essere confessato, mentre i religiosi gli rispondevano: “Che peccati puoi aver commesso Frate Pacifico, Tu che sei puro come un angelo?” Una frase vera ma che Lui aborriva.

Sappiamo che più si cresce nella santità più ci si sente immondi peccatori, avendo chiara coscienza della propria indegnità di fronte al Signore, della distanza tra l’ideale desiderato e la povertà della Nostra vita, chiarissima a Lui, grazie alla luce dello Spirito Santo. Ma questo è concesso a pochi eletti. San Pacifico è stato il Santo della mia giovinezza, quando camminando tutta la notte il 24 Settembre, giorno della Sua festa e salita in cielo, dal piccolo paese di montagna dove abitavamo, approdavamo felici al Suo santuario, tra una moltitudine di gente che nel tempo si è ridotta, prima per l’affievolimento della Fede dovuta alla secolarizzazione, con diverse riprese grazie a Dio con i movimenti ecclesiali, ultimamente causa pandemia, da cui solo la Madonna e San Pacifico con tutti i Santi del Paradiso ci possono adeguatamente proteggere e guarire, più degli esperti.

Al Monastero ero colpito dalla miriade di stampelle in legno lasciate dai pellegrini risanati con i miracoli. Lui ne ha fatti tanti, perciò è molto amato. Basta questo per credere. Uno storpio non abbandona mai lo strumento che lo sostiene, che gli permette di camminare. San Pacifico è anche il santo della mia maturità che tarda a giungere, familiare, di casa più dei miei cari. Dopo la mia conversione avvenuta a 22 anni, quante ore ho passato in compagnia della Sua urna, dopo il terremoto adesso viene esposta in condizioni precarie, spostato dalla Sua cappella tappezzata dalle foto dei familiari, dei bambini affidati al Santo, altro segno di affezione popolare e fiducia nella Sua potentissima intercessione.

Quanti Rosari interi, nelle Sue tre parti, lungamente ho recitati, tanto che il frate addetto alla vigilanza della Chiesa mi guardava in sospetto, mentre io ammiravo le gambe scure, anche mio padre soffriva di tromboflebite, di San Pacifico che con pazienza eroica ha sopportato, offrendo al Signore le sue sofferenze, partecipando in tal modo alla Sua passione. San Pacifico, pur nella Sua infermità, ogni giorno celebrava il Sacrificio divino; il Suo cognome Divini rappresenta un imprimatur indelebile per Lui, lo faceva assistito da un fraticello che gli serviva la Messa. Ebbene questa Santa Messa durava almeno due ore. Durante la Consacrazione, in cui Pacifico rimaneva lungamente in estasi, come vediamo Padre Pio nel filmato della Sua ultima Messa, quando non si regge in piedi, altrimenti che sacrificio sarebbe, testimoniano Loro, in questo lungo tempo il frate servitore faceva in tempo ad andare in Paese a San Severino per acquistare il pane, il vino, il necessario per il pranzo comunitario.

Qualche frate, ce ne sono talvolta di quelli che parlano non proprio per spirito caritatevole, aveva osservato che con quelle Messe tanto lunghe si consumavano troppo le candele, un bene prezioso per la scarsa economia del convento. Non mancarono di farglielo notare e Lui non si difende, non trova scusanti. Un giorno provano a misurare il consumo delle candele, lo fanno prima e dopo la Messa. E miracolo eccellentissimo si accorgono che le candele sono rimaste intatte, non sono diminuite neppure di un millimetro. Come ci devono essere rimasti di sasso i frati mormoranti! Che lezione, che correzione sublime dal difetto da cui ci richiama il Papa! Ma se volete vedere il vero volto di San Pacifico guardate la maschera funebre che gli fecero subito dopo la Sua morte, uno sguardo edificante e sconvolgente per Noi.

Giovanni Santachiara

16 ottobre 2021

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