Giuseppe Giusti e il brindisi di Girella: tenere “coccarde” in tasca va ancor oggi di moda

Il tempo cancella la storia, oscurandone la memoria. La operazione ha maggiore successo se i vari “macchinisti del vapore” guidano le operazioni. Da sempre il carburante “abbonda” e i macchinisti, attivi in ogni campo dello scibile umano mai sono andati in pensione e hanno colpito anche i poeti, compreso Giuseppe Giusti. L’enciclopedia Treccani scrive del Giusti: “Poeta italiano (Monsummano 1809 – Firenze 1850). Partito dalla tradizione giocosa toscana, approdò al mito della paesanità. La fama dello scrittore resta affidata agli Scherzi, satire originalissime di tutte le sventure della vita italiana nel decennio anteriore al 1849, per i quali spicca…”. Si crede utile riprodurre “Il brindisi di Girella” (1840):

Il Brindisi di Girella (1840)

Girella (emerito / Di molto merito), / sbrigliando a tavola / l’umor faceto, / perde la bussola / e l’alfabeto;

e nel trincare / cantando un brindisi, / della sua cronaca / particolare / gli uscì di bocca / la filastrocca.

Viva arlecchini / e burattini / grossi e piccini: / viva le maschere / d’ogni paese; / le Giunte, i Club, i Principi e le Chiese.

Da tutti questi / con mezzi onesti, / barcamenandomi / tra il vecchio e il nuovo, / buscai da vivere, / da farmi il covo.

La gente ferma, / piena di scrupoli, / non sa coll’anima / giocar di scherma; / non ha pietanza / dalla Finanza.

Viva Arlecchini / e burattini; /viva i quattrini! / Viva le maschere / d’ogni paese, / le imposizioni e l’ultimo del mese.

Io, nelle scosse / delle sommosse, / tenni, per àncora / d’ogni burrasca, / da dieci o dodici /coccarde in tasca.

Se cadde il Prete, / io feci l’ateo, / rubando lampade, / Cristi e pianete, / case e poderi / di monasteri.

Viva Arlecchini / e burattini, / e Giacobini; / viva le maschere / d’ogni paese, / Loreto e la Repubblica francese.

Se poi la coda / tornò di moda, / ligio al Pontefice / e al mio Sovrano, / alzai patiboli / da buon cristiano.

La roba presa / non fece ostacolo; / ché col difendere / Corona e Chiesa, / non resi mai / quel che rubai.

Viva Arlecchini / e burattini, / e birichini; / briganti e maschere / d’ogni paese, / chi processò, chi prese e chi non rese.

Quando ho stampato, / ho celebrato / e troni e popoli, / e paci e guerre; / Luigi, l’Albero, / Pitt, Robespierre,

Napoleone, / Pio sesto e settimo, / Murat, Fra Diavolo, / il Re Nasone, / Mosca e Marengo; / e me ne tengo.

Viva Arlecchini / e burattini, / e Ghibellini, /e Guelfi, e maschere / d’ogni paese; / evviva chi salì, viva chi scese.

Quando tornò / lo status quo, / feci baldorie; / staccai cavalli, / mutai le statue / sui piedistalli.

E adagio adagio / tra l’onde e i vortici, / su queste tavole / del gran naufragio, / gridando evviva / chiappai la riva.

Viva Arlecchini / e burattini; / viva gl’inchini, / viva le maschere / d’ogni paese, / viva il gergo d’allora e chi lo intese.

Quando volea / (che bell’idea!)/ uscito il secolo / fuor de’ minori, / levar l’incomodo / ai suoi tutori, / fruttò il carbone, / saputo vendere, / al cor di Cesare / d’un mio padrone / titol di Re, / e il nastro a me.

Viva Arlecchini / e burattini / e pasticcini; / viva le maschere / d’ogni paese, / la candela di sego e chi l’accese.

Dal trenta in poi, / a dirla a voi, / alzo alle nuvole / le tre giornate, / lodo di Modena / le spacconate; / leggo giornali / di tutti i generi; / piango l’Italia / coi liberali; / e se mi torna, / ne dico corna.

Viva Arlecchini / e burattini, / e il Re Chiappini; / viva le maschere / d’ogni paese, / la Carta, i tre colori e il crimen laesae (Maiestatis).

Ora son vecchio; / ma coll’orecchio / per abitudine / e per trastullo, / certi vocaboli / pigliando a frullo, / placidamente / qua e là m’esercito; / e sotto l’egida / del Presidente / godo il papato / di pensionato.

Viva Arlecchini / e burattini, / e teste fini; / viva le maschere / d’ogni paese, / viva chi sa tener l’orecchie tese.

Quante cadute / si son vedute! / chi perse il credito, / chi perse il fiato, / chi la collottola / e chi lo Stato. / Ma capofitti / cascaron gli asini; / noi valentuomini / siam sempre ritti, / mangiando i frutti / del mal di tutti.

Viva Arlecchini / e burattini, / e gl’indovini; / viva le maschere / d’ogni paese. / viva Brighella che ci fa le spese.

Credo che, questa Opera dell’ingegno, non si possa definire scherzo o paesanità giocosa. Sembra invece un profondo trattato sull’etica, sulla morale e sui comportamenti degli italiani, da sempre. Ora qualcosa è cambiato? Sono scomparsi gli approfittatori, opportunisti, voltagabbana, plagiatori, qualunquisti, disonesti, accaparratori..? La decina di coccarde non sono più indispensabili? I vecchi raccontavano che, durante il ventennio, per “trovare le porte aperte”, bisognava esibire la tessera del fascio: ora per avere lo stesso effetto sarà indispensabile presentare una “cosa” dal nome inglese. Povera Italia mia, hai civilizzato il mondo, il tuo vocabolario ha più di 200.000 lemmi, ma lor signori preferiscono il modesto glossario inglese:  si vergognano di te. Per comprendere il Giusti non si può prescindere dalla sua descrizione poetica della statua  di Bartolini “Fiducia in Dio”

La fiducia in Dio

Quasi obliando la corporea salma, / rapita in Quei che volentier perdona, / sulle ginocchia il bel corpo abbandona / soavemente, e l’una e l’altra palma. / Un dolor stanco, una celeste calma / le appar diffusa in tutta la persona; / ma nella fronte che con Dio ragiona / balena l’immortal raggio dell’alma; / e par che dica: se ogni dolce cosa / m’inganna, e al tempo che sperai sereno / fuggir mi sento la vita affannosa, / Signor, fidando, al Tuo paterno seno / l’anima mia ricorre, e si riposa / in un affetto che non è terreno.

Non sono un illustre letterato ma sono convinto che al Giusti si dovrebbe maggiore rispetto e non favorirne un lento oblio.

Nazzareno Graziosi

27 settembre 2021

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