Cari amici, sono un po’ criticone: perdonatemi se potete. Oggi vi parlo del “Cappello del Prete”. Quando ero giovane, i sacerdoti della mia città giravano con in testa il grande cappello a falda circolare, denominato “Saturno”. Più raro era vedere un prete col “Tricorno” (il comodissimo copricapo alla don Bosco, per intenderci). In quel tempo un prete, sia per il cappello, sia per la tonaca, lo riconoscevi anche a grande distanza.
Era appena terminata la guerra e le città erano divise tra fedeli cattolici e tesserati mangiapreti. I secondi pendevano dalle labbra del capo dell’Unione Sovietica e, forse per sfida, amavano portare il cappello alla Lenin. Quando, poi, il freddo era più intenso si mettevano pure altri copricapo “comunisti” come, ad esempio, il colbacco con o senza copri orecchie. Mai e poi mai un prete o un fedele alla chiesa cattolica romana ne avrebbe indossato uno.
Poi irruppero nei cinema i film di “Peppone e Don Camillo” e anche qui i due diversi copricapo (il cattolico e il bolscevico) sulla testa di Fernandel e Gino Cervi si contrapponevano. Questo finì quando in un film, Don Camillo, per far ridere, fece un viaggio accanto a Peppone, sindaco rosso della sua città, e indossò anche lui un Colbacco di pelliccia. Da allora anche nella chiesa ci fu un lento e graduale cambiamento. Sparirono i cappelli tradizionali quali il Tricorno e il Saturno.
Alcuni sacerdoti trovarono comodo mettere il Colbacco, con la scusa che era caldo e qualcuno ha iniziato ad amare anche il berretto alla Lenin. Sul fronte opposto, i capi della Russia, disgregatasi l’Unione Sovietica, lasciarono i cappelli nel cassetto e iniziarono a occidentalizzarsi. Oggi Putin, va quasi sempre a capo scoperto, forse anche per dare un segno di democratizzazione della nazione che comanda.
Cari amici che vi debbo dire? Io faccio fatica a vedere i sacerdoti andare in giro col cappello da sciatore o, peggio, col cappello bolscevico. Non so voi. Per completezza voglio dare qualche spiegazione ai più ai giovani che non hanno visto il mio mondo giovanile.
Quello che qui viene chiamato impropriamente “Tricorno” si chiama in realtà “berretta”, con tre o quattro spicchi superiori (i quattro spicchi, per il vero, erano riservati alla berretta dei “dottori in teologia” e ai prelati che ne avevano il privilegio). Il “Tricorno” fu usato dal clero fin dal Settecento. In seguito arrivò il “Saturno”, il cappello rotondo a larghe falde che si è affermato da metà Ottocento in poi. Il cappello Saturno guarnito con preziosi ricami riservati al Papa è stato usato molto da Benedetto XVI. I ragazzi che frequentavano il seminario portavano tutti il Saturno nero.
Fuori delle celebrazioni la berretta veniva usata come normale copricapo “di casa”, insieme al berrettino di lana o di cotone, rispetto al cappello a larghe falde che si usava quando si usciva dal presbiterio. Insomma la berretta è una costante, pur con varie forme e fogge; il cappello a larghe falde è stato più soggetto alle mode del tempo.
Negli anni postbellici andava molto di moda il basco, detto anche “zucchino”, che ancora si vede in qualche negozio per abiti ecclesiastici, quindi qualcuno ancora lo usa. Negli anni ‘60 si ruppe la “diga comunista” e sul capo di alcuni preti arrivò il Colbacco, che ancora è usato con la scusa dei grandi freddi. Ora si ha tendenza, per il clero in generale, di utilizzare una comune “coppola” o kangol detto anche coppola irlandese: copricapo più semplice che viene abbinato con l’abito clergymen o con abiti civili.
È evidente, purtroppo, la differenza, in fatto di copricapi, tra il clero latino e quello dei bizantini, più attaccati alle tradizioni. Premesso che quanto sto per dire c’entra poco con la spiritualità, mi sbilancio asserendo che sarà certamente un caso ma col mutare del copricapo dei nostri sacerdoti, noto di pari passo pure il decadimento della chiesa, che in questi giorni ha grandi problemi nel recupero dei fedeli.
Alberto Maria Marziali
1 maggio 2021