Da tempo la gente marchigiana, maceratese compresa, si adopera per definire una propria identità culturale artistica e sociale. Lo hanno fatto in passato storici, analisti e studiosi di linguaggio, scrittori, e naturalmente gli artisti. La globalizzazione acuisce il bisogno di una riscoperta della storia e delle tradizioni che risultano qualificanti ai fini, appunto, di una definizione dei caratteri.
Autodidatta negli anni ’60 – Tra coloro che hanno con appropriatezza indugiato su questo tema, è da considerare anche Luigi Cristallini, figura di artista e amico che ricordiamo con ammirazione e affetto a pochi giorni dalla sua scomparsa. Ci piace riconsiderarne il lavoro artistico e puntualizzare alcuni aspetti che potrebbero sfuggire. Avvicinatosi all’arte da autodidatta negli anni sessanta, Cristallini si è impegnato particolarmente a studiare prioritariamente le tecniche della pittura, e ogni suo quadro reca i segni di questo scrupolo e di una particolare attenzione: la bella pittura, insomma.
Pezzetti del nostro passato – L’artigianalità, la operosità, e un senso etico del lavoro ben fatto non sono anch’esse caratterizzanti della nostra gente? Ma al di là degli aspetti formali e per così dire “tecnici”, ogni volta che ci si imbatte in un quadro di Cristallini, quale che sia il soggetto, scena d’insieme, paesaggio o natura morta, si ha la sensazione di ritrovare un pezzetto di passato che è stato anche nostro, vivo e memorabile. Più che di nostalgia (ogni periodo ha le sue gioie e le sue angosce) si dovrebbe parlare di ricordo affettuoso e di familiare vicinanza.
Dettagli cancellati dalla modernità – Ogni sua tela ci offre particolari ambientali, caratteristici di un’umanità reale per gran parte scomparsa – scorci di piazzette, case in mattoni e vicoli interni o attigui al nostro centro storico – recanti dettagli ormai cancellati dalla modernità: il muro scrostato, la grondaia contorta e rappezzata, la tenda che si appoggia sul davanzale avanti a una finestra, scostata quanto basta per fare ombra, per poter sbirciare all’esterno e arieggiare la stanza e chi la abita; la grata di un seminterrato che lascia immaginare l’umidità, l’isolamento ma anche, nel buio, un mistero che appartiene all’immaginario della nostra infanzia.
Scene d’interno – Poi le scene d’interno, con il povero arredo, la vecchia credenza, un piccolo museo di oggetti che evocano e ispirano sentimenti e ricordi: le “immaginette” e le foto consunte di vivi e di morti, e gli accessori del cucinare: il macinino, le cipolle legate a corona, il mortaio, il camino, ecc. Dunque gli odori, i suoni, il modo di vivere della gente che siamo stati. Non è questo lo stesso neorealismo che vedevamo al cinema, o che riviviamo ancora nelle fotografie in bianco e nero della prima metà del secolo scorso?
Sintesi di umanità – Ma la simpatia che tutto l’insieme aleggia nelle opere di Cristallini non è solo “documentaria”, contiene il tempo e storie di straordinaria vivezza, una sintesi di quella umanità che è stata sua e di tutti: quel senso della collettività scaturente dal vivere insieme e in sintonia, non estranei l’uno all’altro come avviene sempre più spesso oggi. Una vita non mortificata e svilita da diffidenze, paure, o necessità di difesa. La rappresentazione che Cristallini ce ne dà non è retorica o patetica, dialoga col presente, indica necessità non sopite, proprie della vita di ogni giorno.
Il “dialetto” visivo di Cristallini – Non solo, dunque, assistiamo nelle sue opere a una versione solo amena e simpaticamente umoristica come spesso si crede, bensì a un “richiamo”, evocazione realistica ancora viva, comunque non estranea o superata. Luigi Cristallini ha studiato e rappresentato alcune nostre tradizioni come altri hanno fatto attraverso un’analisi scritta; egli ne ha costruito l’equivalente sul versante visivo, e questo “dialetto” che ci offre in simpatica visione è un dono da non sottovalutare. La felicità, la gioia, l’ironia e il sentimento con cui lo ha fatto ci sembra oggi essere il ritratto vivo anche della sua persona, dell’uomo artista, dell’osservatore instancabile che amava stare con la gente per strada ad ascoltare storie e conversare del più e del meno. È forse inappropriato scoprire nel sorriso di questa sua semplicità narrativa anche una buona dose di ottima poesia?
Lucio Del Gobbo
9 novembre 2020