Un testo sacro di origine iranica (persiana), narra di Shah Jamshid, sovrano della dinastia Pishdadiana, il quale uccide un serpente che ha attaccato un uccello magico. L’animale salvato lo ringrazia lasciandogli in dono un piccolo seme che successivamente darà origine alla vite.
I grappoli e gli acini dell’uva vengono raccolti in grandi vasi. La successiva fermentazione del mosto gli fa assumere uno strano odore. Pensando fosse veleno, viene riposto nei sotterranei del palazzo.
Una donna del suo nutrito harem, trascurata e poi bandita, viene indotta a pensare al suicidio. Recatasi di nascosto nei sotterranei reali, cerca il conosciuto veleno, bevutone un po’, anziché star male, si sente stranamente sollevata nello spirito. La misteriosa bevanda ripristinò per intero la sua allegria.
Di queste positive sensazioni fa subito partecipe il sovrano, il quale innamoratosi all’istante di questo succo, non solo riammette nel suo harem la concubina, ma con decreto stabilisce che le uve vengano tutte destinate alla vinificazione.
“Se cuminciò cuscì a fa’ cantina”. In Iran, a seguito di questa leggenda, il vino viene ancora oggi chiamato “Zeher-i-khos”, cioè “Il veleno gradevole”.
Mario Monachesi
27 settembre 2020