È notizia del mese di giugno che il busto di Filippo Corridoni al Pincio di Roma sia stato imbrattato con vernice rossa: giorni prima era toccato a quello del generale Baldissera (1838-1917) governatore della Eritrea dopo la disastrosa battaglia di Adua (1896), sempre con vernice rossa e tanto di rivendicazione di associazione antirazzista. Non so se per il nostro Corridoni si sia trattato solo di un semplice atto vandalico o di un gesto politico: la vernice rossa come per Baldissera, farebbe protendere verso quest’ultimo ma in questo caso siamo davanti a una ignoranza storica davvero preoccupante.
Cosa è la damnatio memoriae – Il voler giudicare la storia passata con parametri presenti è stata sempre una tentazione dei regimi e ne abbiamo moltissimi esempi: pensiamo alla “damnatio memoriae” che nel diritto romano indicava una precisa pena consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una persona. La “damnatio” si è trascinata, in modo palese o di soppiatto, per tutta la storia dell’umanità fino a oggi: pensiamo al processo “post mortem” di papa Formoso (891-896), riesumato e gettato nel Tevere, o episodi più recenti come la “damnatio” napoleonica verso i simboli della rivoluzione, la cancellazione a sua volta di Napoleone alla Restaurazione (un vero e proprio “contrappasso”), o la “damnatio” della Russia con la distruzione dei simboli dell’ex URSS con abbattimenti di statue, ritorno a nomi pre-rivoluzionari (Stalingrado-Volgograd, Leningrado-San Pietroburgo) o addirittura la ricostruzione delle chiese distrutte dai bolscevichi.
I “politicamente corretti” di oggi – Da questo una semplice deduzione: i “giusti di oggi”, i “politicamente corretti di oggi”, potrebbero essere i dannati di domani. Pertanto pensare di riscrivere e giudicare la storia con parametri immutabili è solo una illusione e chi cancella il passato non lo elimina, ma rischia solo di doverlo rivivere.
La “damnatio” nell’arte – Anche l’arte non è stata esente da “damnatio”, basti ricordare la campagna nazista contro l’ “arte degenerata”. Non si può dimenticare “1984” di Orwell (1949), dove il partito dominate elimina tutte le informazioni del passato che vengono aggiornate in base alla ideologia dominante; per non parlare del “Ministero della Verità” che in modo inquietante (nessuno me ne voglia) assomiglia alle commissioni sulle “fake news” o a quelle da istituire per giudicare l’intitolazione delle vie o la conservazione di statue.
Facile attaccare chi non c’è più – Il concetto di fondo di questa nuova iconoclastia è che l’ideologia della società attuale è superiore a tutte le precedenti e che quindi questa ha il diritto di giudicare e correggere la storia, non accorgendosi invece, secondo me, di esserne solo l’erede. Sarebbe più giusto prendersela con i tiranni attuali ma ovviamente è più facile attaccare chi non c’è più! Inoltre, come scrive giustamente il giornalista Giuseppe Vita, nessuna statua viene eretta per celebrare un buon padre di famiglia, né nessuna piazza viene intitolata a una persona che ha vissuto esclusivamente nell’onestà.
Le domande legittime – I nuovi iconoclasti non vogliono ammettere che siamo imperfetti! Non è alla statua dire se il soggetto si sia macchiato di qualche colpa: Churchill ci ricorda che ha contribuito a salvare il mondo dal nazismo, Colombo l’uomo che ha sfidato le credenze del tempo. Se i politicamente corretti si rendessero conto che la festa della Madonna del Rosario (7 ottobre) è legata alla vittoria cristiana alla battaglia di Lepanto, ne chiederebbero l’abolizione o disturberebbero le celebrazioni liturgiche del giorno? Non una provocazione ma una legittima domanda! “Quanto in là bisogna spingersi prima di capire che ci si è spinti troppo in là?”, scrivono in un documento accademici statunitensi, continuando: “Cancellare i segni della storia non cancellerà la storia né aiuterà a comprenderla meglio, anzi il rischio è proprio il contrario. Rimuovere la memoria non significa rimuovere la storia ma solo tentare di dimenticarla”.
Modestino Cacciurri
25 settembre 2020