“Gli italiani sono stati più volte invitati a rallegrarsi per essere stati liberati perché non sono stati mai veramente liberi e se stessi”. Questa frase di Giacinto Pagnani, tratta dal suo dattiloscritto del 1950 dedicato all’Archivio Storico di Corridonia, frase riferita alla Restaurazione e di chiaro intento ironico, mi ha dato lo spunto per una breve riflessione sul la giustizia nello Stato Pontificio.
Una difficoltà cronica – Lo Stato della Chiesa nel suo territorio ha sempre sofferto di una cronica difficoltà nell’esercizio del potere, difficoltà dovuta alle lotte contro l’Imperatore, al sorgere dei poteri feudali, delle Signorie e dalla strapotenza delle grandi famiglie aristocratiche. Non è da trascurare anche la presenza dei Comuni, fenomeno esclusivo dell’Italia centro settentrionale, che a volte andarono a indebolire il già traballante potere papale.
Diritto di asilo e giustizia negoziata – Questo flebile “imperium” che esercitava a intermittenza a secondo dei periodi, aveva ovviamente forte ripercussioni nell’amministrazione della giustizia di cui l’esercizio veniva limitato dalla pesante ingerenza delle grandi famiglie nobiliari, nonché attenuato dalle giurisdizioni ecclesiastiche competenti per i reati dei religiosi, dal diritto di asilo (immunità per chi si rifugiava nei luoghi sacri) e da un istituto come quello della Giustizia Negoziata restato in vigore fino al XVIII secolo.
Un sistema oligarchico in mano al ceto nobile – Per avere un’idea della struttura amministrativa papalina basta ricordare, come scrive lo storico Marco Meriggi, che “fino al 1840 i funzionari pontifici appartenevano al Clero scelti tra un’élite ecclesiastica-amministrativa formata da una trentina di cardinali e da poco più di 160 prelati”. Inoltre accedere alle alte cariche ecclesiastiche era cosa molto difficile per chi non provenisse dalla grande aristocrazia. Si può quindi facilmente dedurre che scomparse le Signorie per il lento ma costante lavoro di riappropriazione del territorio da parte della corte romana, era rimasto in piedi un solido sistema oligarchico in mano principalmente al ceto nobile e diffuso in tutte le parti del regno, dove (anche nelle zone più remote) i potenti, nobili o ricchi che fossero, potevano dettare legge indisturbati, confidando sulla complicità o impotenza del potere pontificio.
Il mantenimento di un accettabile ordine pubblico – In fondo questa oligarchia controllava la società, garantiva l’ordine sociale sostituendosi al fievole potere papale, spesso come in un patto sottointeso e ufficioso; il fine del governo, in una società violenta, in un territorio dove il conflitto tra ordine e disordine era sempre latente, era solo quello che l’ordine pubblico rimanesse nei limiti di una tolleranza accettabile, a discapito sovente della legalità e della giustizia.
Violenza dei nobili tollerata – Spesso si procedeva anche con il Bando, cioè con l’ordine dato a un individuo pericoloso, pena sanzioni o arresto, di allontanarsi da una comunità per un certo periodo di tempo. Bandi poco rispettati anche per l’inattività del governo, specialmente se l’individuo non si metteva in mostra con altri reati. La violenza dei nobili veniva di solito tollerata e le rare volte che il governo si muoveva, e non di certo per i personaggi di alto lignaggio, si finiva con pene blande o con l’istituto della Supplica di cui parleremo.
Preferiti accordi privati al ricorso alla Giustizia – In fondo è lo stesso governo che preferiva che i sudditi venissero ad accordi privati piuttosto che si affidassero alla Giustizia; a Bologna nel XVII secolo era attivo l’ufficio dell’Assenteria delle Paci con mediatori o pacieri intenti a risolvere le liti tra i cittadini senza ricorrere alla Giustizia, prova palese che lo stesso governo incentivava la risoluzione delle controversie direttamente tra i sudditi.
Sovrapposizione tra potere esecutivo e giudiziario – Fino alla riforma della Giustizia varata dal segretario di Stato Consalvi (1757-1824) nel 1816, vi era una certa sovrapposizione tra potere esecutivo e giudiziario, dato che i Legati a capo delle Delegazioni (le nostre attuali provincie) avevano ampi poteri amministrativi ma anche funzione di giudici, coadiuvati da due Assessori di nomina papale, uno per le cause civili e l’altro penali: di fatto questo creava una sovrapposizione tra potere esecutivo e giudiziario.
Tribunale Penale e Tribunale di Prima Istanza – Inoltre era presente nella Legazione un Tribunale Criminale per i reati penali e un Tribunale di Prima Istanza per le cause civili, un tribunale che aveva competenza a partire da determinati importi e che funzionava anche come Tribunale di Appellazione per le sentenze dei Legati.
Segnatura e Sacra Rota – Vi erano inoltre due Tribunali di Estrema Istanza (attuali Corti di Appello): quello della Segnatura per le cause penali e quello della Sacra Rota per le cause civili. Ricordiamo, cosa da non trascurare, che fino alla riforma, il processo veniva redatto in latino. Un curioso aneddoto. Sfogliando tempo fa le sentenze dei tribunali pontifici degli ultimi anni, notai che il reato di stupro con il passaggio al Regno d’Italia fosse quasi scomparso: il motivo è probabilmente legato al cambio della legislazione e la cosa meriterebbe un approfondimento.
La Supplica – Tornando all’istituto della Giustizia Negoziata, esso permetteva agli inquisiti di uscire dal sistema processuale attraverso una Supplica in cui il reo chiedeva che la pena detentiva o addirittura capitale, venisse commutata in una sanzione pecuniaria. La Supplica doveva essere presentata in forma scritta e redatta con canoni prestabiliti. Si poteva accedere a questo istituto per qualsiasi reato, anche ferimenti e omicidi ma in questo caso il reo doveva fare il solenne giuramento di non più offendere (ben poca cosa) e presentare al giudice un atto redatto davanti notaio e testimoni che la vittima, o i suoi eredi in caso di morte, erano giunti a un accordo con l’imputato, spesso dietro il pagamento di una somma a risarcimento.
Un Istituto che svuotava la giustizia – A questo punto il giudice poteva decidere, e quasi sempre lo faceva, di commutare la pena detentiva in una semplice ammenda pecuniaria. Un istituto che di fatto svuotava la giustizia e inoltre, in una società violenta e di forte sopraffazione, è lecito pensare che gli accordi con le vittime a volte fossero stati estorti con la forza. Basti pensare a ciò che accade oggi nei paesi dove le mafie e la delinquenza sono radicate.
La carceri di Macerata – Nel XVII secolo i condannati alla “galera” della Marca Anconitana erano radunati presso le carceri di Macerata per poi essere inviati a Civitavecchia e quindi imbarcati nelle navi ai remi. Al momento della Restaurazione negli stati italiani si tornò al precedente ordinamento.
Le sportule – Non si può dimenticare che nel tanto osannato Regno di Sardegna rifiorirono le giurisdizioni speciali, e i magistrati, fino al 1822, venissero retribuiti non con uno stipendio fisso ma con il sistema delle “sportule” corrisposte dalle parti, cioè gli stessi ricorrenti procedevano al pagamento dei giudici facendo sorgere ovvi sospetti di corruzione; solamente nel 1847 nel Regno Sabaudo si tornerà a un sistema giudiziario sullo schema del codice Napoleonico.
La questione giustizia oggi – Tornando a oggi credo che la questione giustizia resti un nodo essenziale per il corretto funzionamento dello stato: la base della democrazia è la suddivisione e l’indipendenza tra il potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Quando uno dei tre poteri in modo subdolo tende a sovrastare l’altro, si innesta un meccanismo perverso che va a minare le stesse basi di uno stato democratico. Passano i secoli ma le problematiche restano in fondo sempre le stesse e purtroppo mai la storia ci insegna qualcosa.
Modestino Cacciurri
31 agosto 2020