La pandemia che terrorizzò il mondo: iniziò a Ficana la “spagnola” a Macerata

Come molte altre epidemie anche la spagnola sembra che abbia avuto origine in Asia, probabilmente in Cina, poi lentamente si diffuse in tutto il mondo. Il virus che ne era causa mutò negli Stati Uniti e successivamente in Europa, diventando sempre più aggressivo.

La diffusione in Europa – Questa grave malattia infettiva si manifestò prima in Francia, dove ebbe l’altra mutazione, e poi in Spagna. Qui, non essendoci ancora la guerra, né censure, ne fu data ampiamente notizia definendo questa pandemia come febbre dei tre giorni. Cominciò a diffondersi a Madrid (per questo chiamata spagnola) nel febbraio 1918 e in breve tempo otto milioni di persone furono costrette a mettersi a letto, con sintomi simili a quelli influenzali. In settembre, però, esplose una seconda fase della malattia, molto più virulenta e pericolosa.

Macerata sovraffollata – In quel periodo la città di Macerata si trovava in una situazione di notevole sovraffollamento: infatti erano da poco arrivati più di cinquecento donne e bambini italiani, ex internati nel campo di prigionia austriaco di Katzenan. Inoltre, dalle zone di guerra giunsero più di un migliaio di connazionali sfollati; e ancora 1.600 militari, malati o feriti gravemente, furono ricoverati in vari locali gestiti dall’Ospedale Militare. In questa situazione l’epidemia non poteva che trovare un terreno fertile per una rapida diffusione.

L’inizio fu a Ficana – La seconda fase della spagnola iniziò a manifestarsi anche a Macerata nei primi giorni di settembre, prima nel quartiere popolare di Ficana, nella zona di Santa Croce, per poi dilagare a Villa Potenza e quindi in tutta la città. Nel primo mese, vi furono circa trenta nuovi contagiati ogni giorno; e si cominciarono a registrare i primi morti, che nell’intero mese di settembre ammontarono a settantasei unità. Il decorso della malattia era molto rapido e virulento, due o tre giorni di incubazione e poi l’esplosione dei tipici sintomi influenzali: mal di gola, dolori articolari, mal di testa e febbre altissima a cui faceva spesso seguito la morte per gravi complicazioni bronco-polmonari, accompagnate da setticemia generale.

Il “silenzio polmonare” – In questi casi il paziente diventava cianotico, con respiro profondo e penoso di chi ha fame d’aria: i medici incontravano spesso un sintomo abnorme che chiamavano “silenzio polmonare”, cioè una totale assenza di respiro all’auscultazione, nonché il riscontro che la vera causa dei decessi era l’asfissia, come in un attacco con i gas.

La censura – Il governo Orlando impose una rigida censura sulle notizie relative al procedere della epidemia, per evitare apprensioni e allarmismi da parte della popolazione già provata dalla guerra. Così mentre sui giornali e nella corrispondenza ufficiale si comunicava che l’andamento epidemico era benigno, riservatamente il Sindaco scriveva al Prefetto: “Causa impressionante aumento casi influenza infettiva seguiti spesso da morte, sanitari condotti dichiarano assolutamente insufficiente opera loro e chiedono scanso gravi responsabilità sia provveduto urgente collaborazione altri medici. Essendovi assoluta deficienza Sanitari civili pregasi Vossignoria disporre perché assistenza Sanitaria sia subito integrata dall’opera di medici militari”.

Il poeta tredicenne – La città era fortemente impressionata dalle continue morti: il poeta maceratese Bruno Arzeni, che abitava nei pressi della nuova chiesa del Sacro Cuore, appena tredicenne, scrisse in versi le sensazioni provocate in lui dal suono a morto delle campane:

Ma ecco, ecco l’ultimo tocco, / lento, straziante, ineffabile, / come rantolo di moribondo / da un vuoto pauroso, profondo. / Par che gridi, che invochi, che preghi / che pianga … e che si rassegni! / Come una creatura umana / come una voce lontana.

La disinfezione – L’Amministrazione comunale, alla fine di settembre, ordinò la disinfezione di strade, mezzi di trasporto, uffici, ritrovi pubblici e chiese, utilizzando l’uso di acido fenico spruzzato con pompe a mano, cosicché il suo sgradevole odore si spargeva continuamente dappertutto. Non vi era, però, certezza sulla natura della malattia nemmeno a livello medico.

I consigli del dottor Nascimbeni – Tuttavia l’Ufficiale sanitario, Nascimbeni, dava i seguenti consigli: massima pulizia della persona e specialmente delle mani; utilizzare colluttori con soluzione di disinfettanti a base di tintura di jodio e acqua; praticare unzioni delle narici con vasellina borica o mentolata. Consigliava, inoltre, di prendere una compressa di chinino al mattino per sostenere il cuore e, se si era colpiti dai primi sintomi della malattia (febbre, cefalea, dolori muscolari, tosse), prescriveva di mettersi a letto, usando applicazioni calde per i dolori, infusi caldi di tiglio o di camomilla e dosi moderate di aspirina o salicilato di soda. Soltanto se si presentavano complicazioni polmonari, si doveva chiamare il medico per le cure specifiche (poche, dato che ancora non c’erano gli antibiotici), rimanendo a casa per “un numero di giorni eguale a quelli della malattia” con la speranza che l’organismo avesse reagito al virus.

Le “fake news” – Ma tali provvedimenti furono insufficienti, poiché la grave malattia influenzale dilagava, il numero dei contagiati era in continuo aumento, come pure i morti, mentre la gente presa dalla paura, si lasciava andare ad interpretazioni del tutto insensate. Si affermava, addirittura, che l’epidemia era appositamente diffusa dal governo, il quale, facendo morire le donne e i bambini, si liberava “dall’obbligo dei sussidi alle famiglie dei richiamati e delle pensioni di guerra”. Oltre a ciò, la stessa epidemia era imputata a una sorta di guerra batteriologica, prodotta dai tedeschi; infatti “tutti dicono che è importata dai tedeschi”, i quali, secondo questa diceria, sparavano proiettili con agenti infettanti. A tal riguardo in una corrispondenza si aggiungeva: “Qui il popolino crede che la malattia fosse gettata in forma [di] polvere rossa dal dirigibile per diminuire la popolazione”.

I comportamenti delle persone – La paura reciproca portava la gente alla diffidenza; si scrutava l’altro e i suoi gesti, come pure si prendevano alla larga taluni percorsi camminando separati gli uni dagli altri. Per scongiurare qualsiasi contagio, alcuni giungevano a barricarsi in casa, chiudendo ermeticamente porte e finestre con cotone idrofilo, rifiutando di avere visite, uscendo solo quando era indispensabile. Mentre in tutta Macerata dilagava l’epidemia, in particolare nei Borghi San Giuliano e Cairoli, la gente prese d’assalto le farmacie che dovettero prolungare il loro orario di apertura. I prezzi dei medicinali subirono aumenti vertiginosi e l’uso abbondante di chinino portò ben presto all’esaurimento delle scorte.

La Sanità comunale non regge – I pochi medici disponibili compivano enormi sforzi per prestare i soccorsi: ogni sanitario, infatti, offriva aiuto a oltre ottanta ammalati in media al giorno. L’organizzazione sanitaria comunale, limitata per lo più ai medici condotti, non era in grado di reggere all’urto delle tante richieste. Anche alcuni medici furono contagiati e non si trovarono loro sostituti. Soltanto dopo ripetute insistenze, fu concesso un medico della Croce Rossa e saltuariamente un altro medico militare.

Ospedale Civile al collasso – Inevitabilmente l’Ospedale civile, l’unica struttura di ricovero in cui si potevano accogliere i malati in gravi condizioni, divenne pericolosamente stracolmo. Il direttore, dottor Fulvio Casucci, denunciò che nell’ospedale erano saltate tutte le misure profilattiche e gli affetti da spagnola si tenevano insieme con i pazienti colpiti da malattie comuni, “con estremo pericolo di diffusione della infezione”.

Le salme – Vi era pure tanta difficoltà nel trasporto e nella sepoltura al cimitero del gran numero di salme, tanto che il Comune fu costretto ad assumere per tale compito, “in servizio straordinario”, cinque uomini ex internati in Austria. Il 1° novembre 1918 il Sindaco di Macerata vietò l’accesso al cimitero; e inoltre emise un’ordinanza con la quale si vietava a chiunque, salvo al personale di assistenza, di entrare in contatto, sia in privato che in ospedale, con persone affette da influenza. Era pure vietato di visitare le salme di deceduti per tale malattia, oltre al fatto che non potevano rimanere esposte al pubblico.

La mascherina – L’Ufficio comunale d’Igiene per la prima volta raccomandò, a coloro che assistevano i malati, l’uso del camice e di “una piccola maschera… di garza e di un filtro di ovatta da applicare al viso” che, ovviamente, non si trovava e che ognuno doveva confezionare, in base al campione affisso presso l’Ufficio d’Igiene.

L’ordinanza del Sindaco – Il 2 novembre il Sindaco fece affiggere per tutta la città un manifesto con specificate “norme per la profilassi della influenza”, in modo da eludere la sua ulteriore diffusione, nel quale veniva consigliato di “evitare eccessi nel mangiare e nel bere”. Tale consiglio sembrava senza dubbio piuttosto ironico e incomprensibile, visto che la popolazione era ridotta allo stremo per la mancanza di generi alimentari e soprattutto della carne, nonché per l’aumento dei prezzi.

La morte del principe Bandini – Un episodio colpì molto l’opinione pubblica: la morte per spagnola del principe Sigismondo Bandini, “schiantato dall’uragano, che da cinque giorni, si era abbattuto sul gagliardissimo corpo”. Alla fine di novembre iniziò una certa declinazione della mortalità e in dicembre si pensò che ormai fosse passata l’ondata epidemica. Invece, nel gennaio 1919, si ripresentarono alcuni nuovi casi di spagnola, che si protrassero per tutta la primavera dello stesso anno.

Il tragico bilancio – Il bilancio fu assai tragico: nel Comune di Macerata, a causa della spagnola, morirono quasi 400 persone, molte di più dei circa 300 soldati morti in quattro anni di guerra. Mentre nella provincia maceratese morirono più di 3.200 abitanti. A livello mondiale oltre 500 milioni di persone furono affette da questa grave pandemia (su una popolazione che allora contava poco più di due miliardi) e ne morirono circa 50 milioni, mentre in Italia, secondo le stime del Mortara, si ebbero circa 600.000 morti, pari a tutti i caduti italiani sui campi di battaglia.

Le differenze con il coronavirus – Molte sono le differenze dall’attuale pandemia da Coronavirus: diverso il virus; quello della spagnola colpì prevalentemente soggetti giovani, per lo più uomini, ma anche le donne in stato di gravidanza ne risultarono particolarmente vulnerabili, mentre i bambini e gli anziani erano più resistenti al contagio e, fatto anomalo, l’epidemia si diffuse anche tra i maiali. Erano simili, invece, le modalità di trasmissione del contagio attraverso le vie aeree, nonché le patologie polmonari, come pure alcune reazioni psicologiche da parte della popolazione.

Considerazioni finali – Oggi si prende coscienza che la grande propagazione del Coronavirus ci spinge ancor più ad acquisire certezza che lo stile di vita di ognuno di noi ha un senso fuori di sé, in quanto ha effetti su tutti e tutti siamo fortemente interdipendenti. Infatti, il modo di agire in Cina di una o più persone, ha determinato lo sviluppo pandemico e i nostri comportamenti collettivi sono stati, e lo sono tuttora, decisivi per la salute delle nostre comunità. Fin da quell’epoca gli scienziati avvertirono che potevano insorgere altre pandemie. Questo monito, che oggi si ripete, forse non servirà anche a noi per rivedere tutta la nostra condizione socio-economica, anche europea e mondiale?

Romano Ruffini

31 luglio 2020

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