Maurizio Boldrini ci prova: recensisce il libro “Il Cagliari degli eroi…”

Rubo il mestiere, spero non troppo impropriamente, al giornalista e per amore mi azzardo in una recensione,  non so quello che verrà fuori. “Il Cagliari degli eroi – Il riscatto di una Nazione: dal tricolore alla Partita del Secolo”, libro scritto dai giornalisti Giovanni Giacchi e Maurizio Verdenelli, con prefazione di Enrico Gaviano,  pubblicato da Bookness in questo luglio.

Ho comprato e letto immediatamente il libro almeno per un paio di motivi,  il primo perché sono come tanti un appassionato di quel Cagliari, tanto da costruirci uno spettacolo teatrale con il Minimo Teatro che gli autori mi fanno l’onore di citare proprio a conclusione del libro, non sono nuovo al teatro-sport: altri due spettacoli, uno su Mariolino Corso e uno su Manuel Fuente.

Il secondo motivo è che porta la firma di Maurizio Verdenelli (Giacchi mi è nuovo nella mia ignoranza, ma da questo libro in poi ci starò attento). Ora,  parentesi proprio su Verdenelli , o se preferite sulla provincia che,  grazie a persone come lui, talvolta diventa capitale imbattibile. Macerata, Cagliari, che cambia!? Sui film si diceva per irridere qualcuno: ma che vieni da Macerata? O i caporali dicevano ai soldatini un po’ insubordinati: “guarda che ti faccio sbattere in Sardegna!”  Sì, lo hanno detto ma fine al 1970 l’anno in cui il Cagliari rese reale l’impossibile, non si trattò solo di uno scudetto ma com’è scritto nel sottotitolo del libro si trattò di “riscatto”, una squadra di calcio fece cambiare la visione della Sardegna con un manipolo di eroi garibaldini.  

Pardon Verdenelli volevo trattare di te e della gloriosa generazione di giornalisti maceratesi, il primo che ho incontrato fu Ugo Bellesi, grande direttore del Carlino, persona calma e colta, gli portavo i comunicati per il mio sconosciuto Minimo Teatro (era il 1982) dentro una busta con allegata una fotografia (altri tempi, fatti di carta e relazioni), lui apriva la busta e con un cenno della testa diceva sì.

Verdenelli era ed è un’altra “cosa”, estroverso, spietato, se volevi sapere proprio quello che era successo in quella faccenda maceratese dovevi passare per la lettura di Verdenelli perché lui ne sapeva sempre una in più del diavolo, anzi due, una ne scriveva, una se la teneva. Ricca tradizione giornalistica quella maceratese fino ai più giovani Luca Patrassi e al mio amico Giuseppe Porzi e certo faccio torto ad altri che non cito, e per dispetto non cito i fotoreporter, chi non è maceratese se li vada a cercare perché sono loro che appartengono alla leggenda maceratese o cagliaritana (che cambia?).

Ehi! Ricordatevi che è un valente maceratese, Claudio Orazi,  che ha diretto l’ente lirico di Cagliari prima di passare al Carlo Felice di Genova,  ha iniziato con l’Arena di Macerata, poi è passato a quella di Verona, perché a Macerata dovevano imbucare qualche nordista.

Oddio! Dovrei parlare del libro! Va bene cito solo due piccoli esempi, le sue 133 pagine sono una miniera troppo ricca per far affiorare in questo contesto la poesia in essa contenuta. E allora scelgo Comunardo Niccolai, passato alla storia come il re degli autogol, ma gli autori del libro, non cadono nel tranello del risaputo, ben sanno che senza Niccolai stopper di altissimo livello quello scudetto non si sarebbe vinto. Sì era di altissimo livello anche negli autogol, sembravano non essere incidenti ma intrusioni in campo degli dei. Il più divino dei suoi autogol ovviamente nella partita decisiva per lo scudetto, quella con la Juve. Su un cross dello juventino Furino (come fosse arrivato a fare un cross anche questo non si capisce, visto che lui era un mastino da difesa e un po’ da spinta) si vede Comunardo Niccolai svettare in volo, surclassare tutti, compagni e avversari e “insaccare” nella propria porta. Pare che per difendersi dagli improperi di un esterrefatto Albertosi e dei suoi compagni abbia pronunciato le seguenti parole: “Era un cross troppo bello per non mandarlo dentro”, ma come al solito sopra a tutti svettava il filosofo Manlio Scopigno che imperterrito disse: “ Bel gol, peccato che giochino nella stessa squadra”.

E poi desidero citare Albertosi, gli autori anche in questo caso la dicono quasi chiara: “se non fosse stato per qualche incidente di percorso, è stato il più grande di tutti”. Mi permetto di rettificare: Albertosi è stato il più grande di tutti (dopo Lev Jaschin, s’intende, ma questi giocava su Marte).  Ecco perché: Albertosi è l’unico portiere che io ricordi talmente eccellente da potersi permettere al tempo stesso di recitare anche il ruolo del portiere, insomma faceva due cose in una: era e rappresentava, ha semplicemente pagato qualche rappresentazione, ma chi come me desiderava il teatro imprevedibile desiderava Albertosi, non l’algido Zoff, quello parava e basta. Mi si è finita la pagina e questo non va bene per la sintesi giornalistica e allora: comprate il libro perché è semplicemente e veramente un libro, di quelli che è sempre più raro trovare nelle librerie.

Infine segnalo un difetto del libro, se no che recensione è, costa 15 euro, il fatto è che non sono troppi, la valuta non è mai troppa quando è superata dal valore, il fatto è che questi 15 euro ti durano poco perché il libro si legge tutto d’un fiato e come capita quando leggi una bella poesia o vedi un bel film dici: mannaggia è già finito!

Maurizio Boldrini (Minimo Teatro – 3471054651)

24 luglio 2020

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