Vicenda realmente accaduta a Macerata: “Il medico della mutua – parte 1”

La visita medica – Era tragicamente distratto, era la sua una vacanza mentale da fare, a volte, tenerezza. E sì che gli strani itinerari della sorte lo avevano ridotto al rango di “sporco” burocrate, come tanti suoi colleghi di qualifica, accorpati nell’accogliente alveo dell’Istituto. Se poi avesse esercitato liberamente e autonomamente la “missione” di medico-chirurgo in mezzo alla gente, chissà quali conseguenze avrebbe generato con la sua altalenante presa di coscienza, più spesso in fase di recupero che stabilizzata. Durante le lunghe mattinate alla scrivania del suo ufficio, si immergeva nella stesura di ponderose relazioni e non batteva ciglio se un subalterno appoggiava, con la delicatezza di un manovale dell’edilizia, gli incartamenti sul tavolo di lavoro, o se una infermiera gli sottoponeva con sveltezza un certificato da vidimare. Se ne rimaneva cupo, a testa china, la penna in mano pronta allo scatto e per interi quarti d’ora siglava brogliacci di carta (vecchi ciclostili in disuso che nelle stanze si ammucchiano a chili) con la firma per esteso e con l’aggiunta delle sue credenziali di carriera militare: “Capitanomedico, Dr. Federico C.” – oppure: “Il Capitano Medico” o anche “Dr. F. C. – Il Dirigente Sanitario – Capitano medico”. Con svolazzi e ghirigori di rara eleganza e gusto artistico. Una deformazione abitudinaria, una sorta di callosità professionale, assorbita nei lunghi anni di permanenza in grigio-verde a prescrivere dosi di olio di ricino, pennellate di tintura di jodio o scatole di bromuro alle truppe. Firmato: “Il Capitano Medico” come sopra. Tra le tante incombenze, aveva quella di effettuare sporadicamente o quando non se ne poteva esimere, le visite preliminari di controllo sanitario ai nuovi assunti della Mutua. Un pro-forma, giusto per saggiare le capacità intuitive e immediate delle matricole dell’Istituto. Un adempimento che si risolveva col riempire una serie  innumerevole di schede e questionari di dubbia importanza ai fini dell’eventuale utilizzo del neo dipendente. Non era raro trovare una persona affetta da balbuzie adibita a fungere da… centralinista telefonico o un laureato in veterinaria indirizzato all’Ufficio Legale dell’Istituto! Una sbirciata a tirar via, dunque, forse più attenta e intenzionale nel caso il Capitano dovesse, per caso, palpeggiare le carni bianche e sode di una giovane candidata dattilografa alla sua prima occupazione. Davanti al tavolo, quel giorno, c’era una specie di mastino tarchiato, dal collo taurino e i capelli brizzolati tagliati a spazzola. Se ne stava leggermente curvo in avanti, le dita come salsicce intrecciate sul ventre, in un atteggiamento teso e speranzoso, con gli occhi che, da sotto le palpebre, cercavano di cogliere al volo la complessità della situazione. Il Dr. Federico C., come sua abitudine, scrivendo furiosamente, aggrondato, con severo cipiglio professionale, apparentemente molto formale, senza mai alzare lo sguardo sull’interlocutore, si accinse a porre le domande di prammatica. L’aspirante impiegato (o non so cosa) dal canto suo, rispondeva con cenni, a monosillabi, suppliva alla mancanza di eloquio gesticolando teatralmente all’italiana. Il medico si informava: “Età? …precedenti morbosi? …sì, le malattie fin qui sofferte. Lei fuma? …segni particolari? …ha mai lavorato in un Istituto come questo?” Dopo una diecina di minuti di fitto interrogatorio, l’energumeno se ne uscì, disteso e sollevato, con il volto atteggiato a chiara soddisfazione, vagamente smorzata da una impercettibile piega di arguzia diabolica. “Ce l’hagghjo fatta… Ce l’hagghjo fatta!” andava mormorando sottovoce, fregandosi le mani mentre chiudeva la porta a vetri dell’ambulatorio. Nell’Ufficio del Dirigente entrò senza bussare Spernazza della Segreteria della Sede, urtando la tozza sagoma del tizio che adesso sembrava letteralmente fuggire per il corridoio della Sede. Spernazza si voltò per un attimo a osservarlo, poi, rivolto al Capitano: “Allora, dottó, questa volta abbiamo un dipendente ligio al dovere, che, comunque, non potrà letteralmente chiudere un occhio sulle pratiche da trattare?!…” – “Perché? Come sarebbe a dire!?” fece il Capitano-medico Federico C., trasalendo impercettibilmente e sollevando la penna dal fatidico foglio zeppo di svolazzi calligrafici.Ma come? Per lei era tutto ok…? Tutto a posto? …regolare?” chiese Spernazza. Sì, sì, tutto a posto, tutto a meraviglia…” esclamò, quasi divorando le parole, il Dr. Federico C., come d’uso. “Ecco, bravo, si prenda i moduli da portare in segreteria riempiti debitamente alle singole voci!” recitò con sussiego. “Ma… dottó, l’occhio non l’ha controllato, l’occhio? – “Quale occhio?” – “ Il sinistro… quello del traccagnotto appena uscito – insisté Spernazza – l’occhio sinistro, dottó, l’amico era guercio. Non ha fatto caso che aveva un occhio di vetro?” – L’occhio sinistro… ecco… beh… veramente… ma certo che l’ho notato! Ma che sta a fare lì impalato? Corra, Spernazza, corra, mi trovi quel disgraziato – balbettava improvvisamente in piedi, congestionato in viso il Dr. Federico C. – lo chiami, non può fare l’assistente sanitario al Reparto Analisi con quel difetto lì… me lo recuperi ! E faccia presto, altrimenti quello da domani mattina prende servizio…”. E Spernazza si precipitò per le scale, alla caccia dell’individuo ritenuto “abile e arruolato”, ma che tale non avrebbe potuto essere.

Goffredo Giachini

1 agosto 2019

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