“Il rosso fiore della violenza” – LVI e ultima puntata

L’epilogo – Questa storia ormai volge al termine: i sopravvissuti, desiderosi di silenzio e di pace, rientrarono nell’ombra, ognuno con il proprio carico di dolore e di tristi ricordi.

L’avvocato Barilatti, accompagnato dalla fedele domestica, si recava tutti i giorni al cimitero per deporre mazzi di bellissimi fiori sulla tomba della sua amata figlia. Egli non cessava mai di sperare che lo Stato facesse giustizia e, intanto che la polizia cercava a fatica di mettere le mani sugli inafferrabili terroristi, gli attentati, i rapimenti e gli omicidi si susseguivano gli uni agli altri con puntigliosa regolarità.

La bella e procace Beatrice, dimentica ormai del marito e ancor più della povera figliastra, cavalcava a suo piacimento il dio dell’amore, ben fornita di soldi e di agi che attingeva al capace portafoglio del marito.

Michele La Marca, provato dal sacrificio del suo ex compagno di scuola e tormentato dal rimorso di aver contribuito alla sua morte, chiese e ottenne il congedo. Rientrato nel seno della famiglia si dedicò all’amministrazione della paterna azienda agricola, rinunciando, da un lato e per sempre, alla politica e soddisfacendo dall’altro l’antico desiderio del padre di continuare la tradizione di famiglia. Egli non ebbe il coraggio di partecipare ai funerali del povero Mario per paura d’incrociare gli occhi angosciati di Carmela e del vecchio Matteo.

Per la stessa ragione il brigadiere di polizia Antonio Lauriola, che aveva convinto Mario ad arruolarsi, non ritornava tanto spesso al suo paese.

Alberto e Katia caddero ambedue sotto il piombo delle Forze dell’Ordine un anno dopo. Non si seppe mai se fu soltanto il caso o la delazione di qualcuno cui facevano gola  i 50 milioni di taglia che l’avvocato Barilatti aveva messo sulla loro testa. Essi accettarono lo scontro mortale senza arrendersi. La notizia fece scalpore. I cittadini benpensanti tirarono un sospiro di sollievo, credendo che la rivolta innescata da quel gruppo di giovani borghesi, nauseati dal benessere e dal dolce far niente, fosse soltanto un gesto isolato e senza seguito: di questa errata convinzione si sarebbero ben presto ricreduti. La polizia aveva sì reciso il braccio della lotta armata di quella città, ma la testa pensante era chissà dove e stava per muovere altre braccia, disseminate per ogni dove. Che dire poi delle famiglie di tutti quei giovani caduti nel tentativo di realizzare il mitico sogno di Utopia?

I genitori di Alberto, tra le tante disgrazie, ebbero la insperata fortuna di morire prima di quel loro figlio prediletto. Essi si portarono nella tomba anche il doloroso interrogativo: perché Alberto aveva preferito di fare quella tragica scelta, invece di godersi fino in fondo gli agi e i privilegi del benessere della sua ricca famiglia? I fratelli tirarono un sospiro di sollievo, perché nel giovane, caduto così tragicamente, essi rifiutarono di vedere un eroe dell’eterna lotta di classe, ma soltanto uno scavezzacollo senz’arte né parte.

La madre di Katia continuò a dare concerti di violino in giro per il mondo, commuovendosi fino alle lacrime per i suoi virtuosi “assolo” e il padre, impegnato nell’antico desiderio di avere finalmente una casa di cura tutta sua, ben presto la dimenticarono, relegandola negli imi dei loro subconsci.

Un cenno è doveroso anche per il commissario Sirtori che fu l’unico a non gioire della distruzione del gruppo G.L.P., nella cui lotta armata seppe intuire il seme caduto nel fertile terreno del malessere sociale e politico che angustia la Società dalla notte dei tempi e che, proprio per questo, era certissimo di vedere ancora una volta sbocciare… il rosso fiore della violenza.

(fine)

17 marzo 2019    

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