Nel numero 68 (settembre-ottobre 2005) di “Nobiltà, rivista di Araldica, Genealogia, Ordini Cavallereschi” sono state pubblicate alcune belle pagine su “La signoria dei Mulucci a Macerata”, curate da un discendente dell’antica famiglia, Massimo Mallucci De’ Mulucci, avvocato che oggi abita in Liguria. Tra le note a margine è citata anche “La rucola” per una ricerca pubblicata nel febbraio del 2004 su Fonte Maggiore (voluta da Muluccio Mulucci).
Il tempo in cui…
Macerata, agli inizi del XIV secolo, contava 1800 famiglie contro le 3.500 di San Severino, le 3.600 di Fabriano, le 6.000 di Ascoli e le 10.000 di Fermo, eppure conseguì il titolo di “civitas” e fu inserita tra le “civitates maiores”. Ottenne pure la sede vescovile per essere stata guelfa, aver parteggiato per la Chiesa. Fu attaccata da un esercito di Federico da Montefeltro che venne respinto. E’ questo il periodo in cui entrarono in crisi i Comuni e si aprì la stagione delle Signorie.
Le Signorie
La crisi dei Comuni fu determinata dagli antagonismi tra nobili e ricchi borghesi, tra i rappresentanti delle arti minori e quelli delle arti maggiori, tra i guelfi e i ghibellini. Le lotte, incidendo negativamente sulle attività produttive, causavano crisi economiche e povertà diffusa, e l’impossibilità di governi stabili. Ecco l’idea di dare il potere, anche a vita, a una sola persona: il Signore; che poteva essere già noto in città o un aristocratico dei dintorni, oppure un uomo d’arme.
Il Vescovo
Con Bolla del 6 giugno 1323, Papa Giovanni XXII nominò Vescovo della città Pietro de’ Mulucci, dei Frati Minori (figura tra i Beati dell’Ordine), indicandolo come “episcopus in spiritualibus et temporalibus”. I Mulucci, che di fatto già governavano Macerata, ebbero l’imprimatur ufficiale ed estesero il loro dominio a Montecosaro e Morrovalle in accordo con i rappresentanti pontifici. Fedeli al Papa ottennero per la città esenzioni da tributi.
La famiglia Mulucci
I ghibellini fermani fecero un tentativo per rovesciare la Signoria dei Mulucci, senza tuttavia riuscire nell’intento. Costoro, con Fedo, fratello di Pietro, consolidarono in maggior misura il loro potere in questo legittimati anche dalla popolazione. La loro famiglia apparteneva all’aristocrazia delle campagne del maceratese, era nota dai primi del 1200 e proveniva da Alteta. Un “Dominus Mulus”, nel 1219, fu presente alla stesura dei patti tra Macerata e Montolmo.
Lo stemma
Nello stemma dei Mulucci è raffigurato un muletto rampante, imbrigliato e bardato, sormontato da un lambello intercalato dai gigli d’Angiò. Sotto si trova l’iscrizione ove si legge “In Dei nomine amen. Incepta fuerunt fieri hac moemia tempore nobilis militis domini Malucci de’ Muluccys de civitate Macerata honore Potestati Senarum anno MCCCXXXVI”. Lo stemma dei Mulucci e l’iscrizione sono scolpiti sulla “Porta della Giustizia” di Siena.
I personaggi
Muluccio fu podestà di Montegiorgio e, nel 1269, anche di Castelfidardo; Ruggero Mulucci era tra i Signori favoriti dal vescovo di Fermo e aveva potere sul castello di Montesecco. Guarnaccia de’ Mulutiis de’ Macerata nel 1309 fu Capitano del popolo a Siena, poi a Lucca e ancora a Siena, nel 1336 come Podestà e provvide alla ricostruzione di parte delle mura. I figli di Bonleone, fratello di Muluccio, furono Fedo e Pietro: il primo fu Signore e il secondo Vescovo di Macerata.
Pietro de Mulucci
Resse la diocesi maceratese fino al 1347, anno in cui morì a 90 anni. A lui spettò l’onore di porre la prima pietra del Santuario di Loreto e favorì la devozione alla vergine Lauretana. La miracolosa traslazione avvenne nel 1294 quando Pietro aveva 37 anni. Si occupò di dirimere le controversie alimentate da chi si opponeva alla istituzione della diocesi di Macerata che determinò una diminuzione di giurisdizione territoriale dei Vescovi di Fermo e Camerino.
Fonte Maggiore
A testimoniare il benessere raggiunto da Macerata sotto la Signoria dei Mulucci, nel 1326 venne costruita Fonte Maggiore sulla quale vennero posti gli stemmi della famiglia. Infatti accanto allo stemma di Macerata e a un bassorilievo di San Giuliano a cavallo vi erano le “armi” dei Mulucci: “l’una colla mula con tre gigli di Fedo… e l’altra del leone rampante con cinque gigli di Bonleone”. Oggi gli stemmi sono nell’atrio del Palazzo Mozzi-Borgetti, sede della biblioteca comunale.
Il dopo Albornoz
Dopo l’intervento dell’Albornoz alcuni appartenenti alla famiglia dei Mulucci si trasferirono in altre città. Li troviamo a Fano e a Siena. Un Cicco de’ Mulucci fu castellano di Amandola (aveva un piccolo esercito di 18 uomini) e fu ambasciatore di quella città presso i Varano. La città di Macerata era privilegiata nella nobiltà locale e conservava i relativi stemmi e libri d’oro, sino al decreto della Segreteria di Stato Pontificia del 1823. Lo stemma e il nome della famiglia dei Mulucci risulta inserito nell’elenco delle famiglie nobili e patrizie della città di Macerata sulla scorta dei libri delle riformanze, degli ordini dei S.S.Superiori e di altri documenti dell’archivio comunale. L’opera di ricostruzione, dopo le distruzioni conseguenti la rivoluzione giacobina, è dovuta al Conte Aristide Silveri Gentiloni. Vengono ivi ricordati gli anni di aggregazione alla nobiltà: 1219, 1252, 1396.
18 febbraio 2019