Antologia “Poeti neodialettali marchigiani”

Entra a far parte della collana Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche l’antologia Poeti neodialettali marchigiani (anno XXIII, n. 263, ottobre 2018, pp. 372) a cura di Jacopo Curi e Fabio Maria Serpilli.

L’opera è arricchita, alla maniera di Carlo Antognini, da 24 incisioni di Adriano Calavalle commentate dal Prof. Gastone Mosci e comprende un’ampia introduzione che, partendo da una contestualizzazione storica e linguistica, affronta il passaggio dalla poesia dialettale a quella neodialettale in Italia, per poi focalizzare l’attenzione sulle Marche, dove è ancora dibattuta l’idea di residenza ed è possibile riscontrare sostanziali differenze tra poeti dialettali di tradizione e di transizione, prima della rivoluzione neodialettale.

 

Gli autori presenti nell’antologia

Sulla linea dei padri neodialettali Leonardo Mancino, Gabriele Ghiandoni, Antonio Fontanoni e del neovolgare Franco Scataglini, si possono distinguere, fino alle generazioni più giovani, i 22 autori antologizzati, selezionati attingendo a ognuna delle cinque province della regione: Piero Saldari, Mariella Collina, Anna Elisa De Gregorio, Rosanna Gambarara, Angelo Ercole, Nadia Mogini, Fabio Maria Serpilli, Massimo Vico, Germana Duca Ruggeri, Gabriella Ballarini, Floriana Alberelli, Diana Brodoloni, Luca Talevi, Massimo Fabrizi, Francesco Gemini, Antonio Maddamma, Marco Pazzelli, Gianluca D’Annibali, Andrea Mazzanti, Michele Bonatti, Jacopo Curi, Ambra Dominici. I testi, editi e inediti, sono introdotti da note biobibliografiche e schede critiche.

 

Poesia neodialettale

Il concetto di poesia neodialettale, già introdotto da Pietro Pancrazi nel 1937, si afferma con Poesia dialettale del Novecento (Guanda, Parma, 1952) di Pier Paolo Pasolini – che non a caso esordisce con i versi dialettali di Poesie a Casarsa (Libreria Antiquaria, Bologna, 1942) – e Mario Dell’Arco, per poi consolidarsi nel corso del Novecento, quando critici quali Gianfranco Contini e Pier Vincenzo Mengaldo, restituendo dignità letteraria al dialetto, decidono di antologizzare per la prima volta dialettali come Giotti, Tessa, Marin, Guerra, Loi, accanto ad autori in lingua, rispettivamente in Letteratura dell’Italia unita 1861-1968 (Sansoni, Firenze, 1968) e Poeti italiani del Novecento (Mondadori, Milano, 1978), ma soprattutto con Poeti dialettali del Novecento (Einaudi, Torino, 1987) di Franco Brevini.

 

La svolta

Il titolo di un importante lavoro di Mario Chiesa e Giovanni Tesio, Il dialetto da lingua della realtà a lingua della poesia (Paravia, Torino, 1978), coglie pienamente la svolta neodialettale: si tratta di una poesia non più basata sul bozzettismo quotidiano, sul macchiettismo psicologico e sulla comicità, ma di vera lirica, basata su tematiche e un linguaggio moderni. A partire dalla seconda metà del Novecento, infatti, anche chi parlava principalmente in dialetto, ha avuto la possibilità affinare gli strumenti della cultura e di usare la lingua madre non solo in funzione della memoria e della quotidianità, ma anche in ragione del fine poetico.

 

Le Marche

Nelle Marche, definite da Guido Piovene in Viaggio in Italia (Mondadori, Milano, 1957-1967) «unica regione al plurale», se da un lato Leopardi lamentava la ristrettezza culturale del «natio borgo selvaggio», popolato da «gente zotica, vil» (Le ricordanze, Canti e poesie disperse, a cura di F. Gavazzeni, Accademia della Crusca, Firenze, 2009), in una lettera al Giordani datata 30 marzo 1817 (Epistolario, a cura di F. Brioschi e P. Landi, Bollati Boringhieri, Torino, 1998) esaltava il fascino ammaliante della parlata recanatese. Non mancano inoltre esempi di utilizzo del dialetto nelle prose Giù la piazza non c’è nessuno (Einaudi, Torino, 1980) e Le ore (Adelphi, Milano, 1995) di Dolores Prato, treiese di adozione. In poesia, più recentemente, il dialetto è entrato anche nell’opera di un autore contemporaneo marchigiano quale Eugenio De Signoribus.

Molti parlano di morte del dialetto, che al contrario, quanto ogni altra lingua viva, subisce inevitabili cambiamenti; per questo l’unica domanda legittima da porsi è quale dialetto sia possibile oggi. Se la poesia italiana è basata sulla lingua petrarchesca, è possibile affermare che la poesia neodialettale rappresenta, a distanza di secoli, il risvolto sublime del plurilinguismo dantesco.

28 novembre 2018

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