Come noto, la vacca ha una gestazione di nove mesi, proprio come la donna e un proverbio contadino lo rammenta: “Non mme vardà’ se ppòrto le còrne, féto dopo nove mesi come le dònne”. Questa coincidenza biologica dava lo spunto a una satiretta popolare indirizzata verso quelle donne che andavano a nozze già incinte. Si raccontava infatti di un vergà che dovette portare un certo giorno la sua vacca alla monta taurina e che lungo la strada incontrò un corteo nuziale. La scenetta avvenne in un paesino di campagna dove tutti si conoscevano e va da sé che il vergaro fece i suoi rallegramenti agli sposi. Trascorsi cinque mesi da quell’incontro, il vergaro seppe che la sposa aveva partorito un bel maschiotto e allora, insieme con la moglie, come d’uso, andò a trovare la puerpera recando in dono un ciammellòttu (un ciambellone). In questa occasione egli non seppe trattenersi e fece osservare alla donna: “Lu jórnu che spusasti, me recordo, io te ‘ngondrò che portavo ‘na vacca a la razza. Mbè, tu sci fijato, e la vacca angóri no, tu ci-hai ‘ssu bbéllu frichinìttu e io non ci-agghjo angóri lu vitéllu…” (Il giorno che sposasti, mi ricordo, io t’incontrai mentre portavo una vacca alla monta. Ebbene, tu hai partorito e la vacca ancora no, tu hai questo bel bambino e io non ho ancora il vitello…). Lo interruppe la moglie: “Tu più te ‘mmècchji e mmino rreccapézzi, e non zai né parlà’ né statte zittu!” (tu più invecchi e meno capisci, e non sai né parlare né stare zitto!). E poi, rivolta alla mortificatissima puerpera, fece: “‘Gna combatìllu, perché non vede l’ora che la vacca je féta!” (Bisogna avere compassione di lui, perché non vede l’ora che la vacca gli partorisca!), in pratica anche lei rincalzando la dose.
28 giugno 2018