Orgoglio e arte dell’arrangio… tié!
La smania, la contentezza e la curiosità furono grandi quando il preside disse, a noi di quinta della scuola agraria, che la gita di fine anno sarebbe stata in Germania. Saremmo andati in un paesetto, nella parte alta di quella nazione, dove, in una grande azienda agricola, si produceva il seme delle barbabietole da zucchero per tutta l’Europa. A noi del seme delle barbabietole ce ne importava davvero poco ma il fatto di andare in Germania ci aveva riempito di gioia.
Neve al Brennero
Verso la fine di marzo siamo partiti. Non c’erano come adesso le previsioni del tempo a li-vello internazionale, che magari non ci prendono ma almeno una qualche indicazione la danno, ed eravamo vestiti per la temperatura di casa nostra. Arrivati al Brennero nevicava ma il pullman riusciva ad andare. Poi a metà della salita un camion con rimorchio si è intraversato bloccando la strada. I mezzi spartineve italiani e austriaci, che facevano avanti e indietro per tenere la strada sgombra, si sono bloccati e il nostro pullman è rimasto fermo con una fila di macchine dietro lunga chilometri. Erano le ore 14. All’inizio abbiamo cantato, ci siamo raccontati barzellette e ci siamo divertiti ma, poi, quando ha iniziato a fare notte, con la neve arrivata sotto i finestrini del pullman (anche se allora erano più bassi di quelli di oggi) ci siamo preoccupati.
Scorte alimentari ok
Di cibo ne avevamo perché le nostre mamme ci avevano imbottito di panini, di fette di ciambellone, di mele e arance. Il problema era la mancanza di acqua e, soprattutto, che con il freddo era giunta la necessità di liberarsi… Per il bere qualcuno ha pensato di usare la neve e la difficoltà si è risolta. Ne prendevamo un po’, la facevamo sciogliere tra le mani per poi berla con gran divertimento. Per la… liberazione la cosa era un po’ più complicata perché le auto in fila erano piene di uomini e donne. Infine, però, non potendo più trattenerci, abbiamo aperto lo sportello posteriore e, dopo aver scansato la neve che lo ingombrava, da lì la facevamo a turno. Verso le tre di notte i nostri pompieri e quelli austriaci erano riusciti a togliere di mezzo l’autotreno intraversato e avevano aperto un passaggio per vedere se eravamo ancora vivi o morti.
La barista
Il preside, uomo davvero straordinario (gli volevamo tutti bene come a un padre), è sceso nella neve, scarpe basse e calzini fini e, aiutato dai pompieri è andato in un bar che stava oltre il confine per vedere se ci avesse potuto portare in un luogo caldo. Dopo un po’ è tornato, ci ha fatto scendere dicendoci di metterci in fila dietro di lui e ci ha condotto nel bar. Abbiamo preso d’assalto prima i bagni poi la barista per bere qualche cosa di caldo. Dopo un’oretta la donna ha strillato: “E’ arrivato il mezzo di soccorso austriaco! Gli italiani per farsi trainare devono pagare!” e si è fatta una grassa risata. A me già tutta la faccenda aveva fatto girare un bel po’ le palle ma questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso!
La “compagnia della spinta”
Ho dato vo-ce ai compagni e insieme siamo andati giù, al pullman. L’autista, bravo e preparato, ha detto: “Se riuscissi a prendere il via, senza che il mezzo sbandi, riuscirei a uscirne anche da solo ora che la strada è pulita!” Detto, fatto. Ho invitato a salire la metà dei compagni dicendogli di mettersi dietro, sopra le ruote motrici per dare più attrito con il loro peso. L’altra metà, i più robusti, ci siamo messi fuori, dietro il pullman. Quando l’autista, con la testa fuori dal finestrino, ha urlato: “Via!” Noi abbiamo cominciato a spingere e il pullman è partito e, piano piano, è arrivato fino davanti al bar con noi a corrergli dietro.
Tié
Prima di salire per andar via sono entrato nella caffetteria e, dal fondo della sala, ho detto ad alta voce: “Sòra cosa… l’italiani lu mezzu l’ha rcacciatu fòri da sùli! Tié! (facendo il gesto dell’ombrello di universale comprensione) pé’ tte e pé’ lu mezzu de soccorsu austriacu!” Il preside, che dopo aver radunato gli ultimi ragazzi stava uscendo, mi si è mangiato con tutti i panni addosso. Ci sono rimasto tanto male in quanto avevo immaginato che lui un tale gesto lo avrebbe apprezzato. Quasi mi veniva da piangere. Saliti sul pullman il preside ha preso il microfono e ha detto: “Come preside, davanti alle persone italiane e straniere che gremivano il bar, ho dovuto riprendere il gesto fatto da Cesare ma, adesso, come uomo e come italiano, vi dico che sono orgoglioso di avere alunni come voi, capaci di accettare una situazione come questa e, soprattutto, tanto bravi da cavarsela da soli anche in momenti così difficili! Bravi!” L’applauso che gli abbiamo tributato ancora me lo risento nelle orecchie e, ancora oggi, ricordando il fatto, la cosa che più mi scalda il cuore è di aver avuto il piacere di conoscere una persona straordinaria come lui.
Cesare Angeletti