Ogni metro quadrato di suolo italiano ha storie da raccontare, sono storie vere che vedono la luce in minima parte. Constatiamo invece che chi le racconta tutte, anche inventate, sono gli altri Paesi, dove un mattone trovato in un campo viene valorizzato come monumento nazionale; il mattone italiano in confronto viene preso a calci. Scorrendo alcune fonti relative alla storia di Treia riportiamo una suggestione, un esempio di piccola storia da raccontare, e quanto grande potrebbe essere il suo contesto se non fosse intervenuto il vero medioevo, che non è quello intorno all’anno mille, ma molto dopo, quando il Rinascimento con presunzione e disprezzo, dovuti all’ignoranza, ha operato per la distruzione del passato. Treia è solo un esempio di una situazione comune a tutte le località italiane, e marchigiane particolarmente, dove le Amministrazioni comunali oggi fanno ciò che possono con grande sforzo, essendo in pratica nullo il sostegno dello Stato.
La Ninfa: derivazione egizia?
Gli storici treiesi Benigni e Acquaticci scrissero che nel campo avanti la Chiesa del SS. Crocifisso si trovava ancora nel 1800 una fontana di rozza fabbrica, nella quale era incastrata una pietra con la seguente iscrizione: IDACHIAE NINPHAE SACRUM, tradotta come: sacro alla ninfa Idachia. Non si conoscono altre attestazioni di questa ninfa, il cui nome è sospettato di essere una invenzione erudita: non esiste il nome Idachia nei dizionari di Mitologie; gli unici nomi in qualche modo assonanti sono Idaia (nome di una ninfa), ma ci vuole proprio una forzatura, e c’è Inachia (epiteto di Iside). Ora, Iside non è una ninfa ma una dea, un livello superiore, quindi l’associazione non dovrebbe essere così scontata, ma essendo un culto straniero, è possibile una sua contaminazione e sovrapposizione con i culti locali, un mescolamento tra Iside Regina, Giunone, Cibele, Bona Dea, e le ninfe delle acque. I ritrovamenti egizi nel luogo tendono a confermare questa complessa interpretazione di “Inachia-Idachia”.
A Treia fiumi di acque come a Roma
Un’altra pista per decriptare il nome, interessante studio da sviluppare, può essere il nome di un piccolo fiume nei pressi di Roma, chiamato in vari modi: Almone-Dachia-Rio d’Appio; qui ogni anno il 27 marzo si praticava una cerimonia di “lavanda” dei sacerdoti di Cibele: coinvolge gli arcigalli Salii e ritorna di nuovo il tema dell’acqua. Dunque, Trea si trovava lungo la Via Prolaquense, il diverticolo della Flaminia che partiva da Prolaqueum/ Pioraco, arrivava fino a Septempeda/San Severino, proseguiva per Trea/Treia, poi continuava per Auximun/Osimo e infine giungeva ad Ankon/Ancona, e da ciò che riportano le fonti scritte, nell’area dove ora c’è il SS. Crocifisso, “scorrevano quasi come in Roma fiumi di acque”, frase confermata dalle campagne di scavo, nel corso delle quali sono state scoperte grandi condotte d’acqua e strutture di tipo termale nei pressi della Chiesa. Sarebbe utile rintracciare la pietra con l’iscrizione, o un suo disegno, per consentire agli esperti di capire se effettivamente il nome Idachia sia un nome proprio di Ninfa “autoctono”, oppure la “I” iniziale sia una troncatura, per esempio di Invictus, il che cambierebbe la frase e la storia del manufatto, pur restando lo stesso testimonianza di un culto delle acque.
Il medioevo… dal 1700 d.C. a oggi
Da “Lettera sugli scavi fatti nel circondario dell’antica Treja del dottor Fortunato Benigni” del 1812. Questo testo particolarmente esplicito fa comprendere come tra il 1700 e il 1800 le amministrazioni siano state particolarmente distruttive, non solo per l’accaparramento di cui sopra, ma per la poca considerazione e consapevolezza di ciò che venne scavato: depredati i siti dagli oggetti di pregio (statuette, monete, gemme, cammei ecc.) i muri furono considerati semplicemente materiale da riuso: il millenario muro di cinta dell’antica Trea fu tranquillamente demolito e riciclato come sottofondo della strada per la contrada di San Lorenzo. Ma scorrendo le pagine vengono i brividi più volte e non possiamo evitare di trascrivere altri passi.
Reperti venduti e reperti frantumati
“Due consimili tombe scoperte negli orli dell’antica via in vicinanza della diruta città, sono ultimamente venute a mia conoscenza (del Benigni), in una delle quali si trovò uno scheletro di milite con una spada tutta dalla ruggine consunta, e un bel vaso di bronzo istoriato, che dal Colono del terreno fu segretamente venduto in Loreto, e nell’altra un cadavere d’ignota condizione con altro vaso di creta cotta dipinto, frantumato dal Villano a colpo di vanga per la smania di vederne subito il contenuto”. “Debbo con raccapriccio rammentare, che fattosi sul cadere di quel secolo XVII, dal cittadino Simone Pancotti non ignaro di numismatica una copiosa raccolta di Medaglie d’oro, d’argento nella quantità di un sacchetto, e cadute queste dopo la sua morte in potere della sua figlia Benedetta, nella quale si estinse questa famiglia, ebbe la medesima la debolezza per male intesa divozione di farne un generoso dono al Capitolo della Collegiata, che con ignoranza propria di quella età le fece barbaramente squagliare per dare un suono più argentino alla nuova Campana, che si dovette rifondere in quell’Epoca infelice”. “Nel campo del Foro, e in altri d’intorno a esso si ritrovarono in continuo medaglie, pezzi di bronzo, e marmi lavorati, di esse si continua a rinvenire copia giornalmente anche dopo chiuso lo scavo.
Contadini vendevano oro agli orefici
Gli orefici di questa Comune da me interpellati mi hanno asserito di averne ogni anno acquistato dai contadini un buon numero, e nello anno scorso (1811) precisamente sopra cento di oro, oltre quelle di argento tutte da essi fuse per i propri lavori”. – “In un podere della famiglia Grimaldi, si è trovato non solo qualche basamento di colonne indizio di maestosa fabrica, ma eziandio una pentola di rame con grazioso manico forse piena di antiche monete appropriatesi dal Colono, che in breve divenne molto ricco da miserabile ch’egli era”. Poco è cambiato dal 1800, a parte strumentazioni più sofisticate della zappa… La solita storia della corsa all’accaparramento dei reperti da parte di privati e commercianti, con la relativa coltre di omertà, e la mancanza di fondi per scavi ufficiali sistematici, purtroppo anche per l’antica Trea significa mantenere sepolto ciò che resta e formulare ipotesi sulla sua antica storia e vita quotidiana. Tutto più semplice sarebbe poterla portare alla luce in tutta la sua grandezza, ma finché nel territorio gli stanziamenti consentiranno solo scavi a macchia di leopardo, meglio che resti tutto così, in attesa di tempi migliori.
Simonetta Borgiani
Altre Fonti:
– Oggetti, idee, culti egizi nelle Marche di Giuseppina Capriotti Vittozzi – 1999
– Treja antica città picena oggi Montecchio illustrata da Giuseppe Colucci – 1780 pp.41-42
– Dissertazioni della pontificia Accademia Romana di Archeologia Volume 7 – 1836 pp.441-442
– A. Cappelli – Dizionario delle abbreviazioni latine e italiane.
17 gennaio 2018