Basta con le favole storiche, le leggende sono da interpretare meglio

Pubblicando gli articoli sulla storia antica mi viene ormai da dire: “E basta! co’ ‘ste leggende che non hanno né capo né coda”. Mi riferisco a un paio di cosette… la prima riguarda la fòla del picchio che guida i Sabini verso le Marche.

 

La favola del picchio (il volatile)

A quel tempo non c’era la superstrada, né la provinciale asfaltata ma il gruppetto di coraggiosi doveva passare per selve selvatiche e piene di rovi, che per passare facevano un gran casino: ve lo immaginate il picchio? Secondo voi che faceva il volatile? Svolazzava allegro sopra di loro o se ne scappava via impaurito? Poi, passati di qua, c’era un camping vuoto e accogliente… peccato per loro che di qua c’era un popolo già provvisto di armi e carri ornati in bronzo da circa 1500 anni prima di Cristo. Che dite, come li avranno accolti? Bene che sia loro andata gli avranno detto: “Trovatevi un posto dove stare e non rompete le scatole!” Motivo per cui la favoletta del picchio e dei Sabini non ce la fate più sentire.

 

La favola di Enea nel Lazio

Poi tocca alla leggenda di Enea che va a sbarcare sulle rive del Lazio che, ricordiamo, fino al 1930 o giù di lì erano paludi acquitrinose infestate dalla malaria. La bonifica la iniziarono i Romani, chiaramente dopo la fondazione di Roma (753 a.C.) e la terminò Mussolini. Allora… Enea e le sue genti scappano da Troia distrutta con un po’ di navi, che quella volta non erano a motore, per cui dovevano remare o affidarsi al vento e alle correnti marine.

 

Viaggio avventuroso, oppure…

Osservate la cartina. Per giungere in Lazio avrebbero dovuto affrontare il mare aperto con tutte le incognite del caso (tempeste varie), e sarebbero passati vicino alle coste libiche. Domanda: “Perché non attraccare lì?” Poi, continuando sarebbero passati vicino alla Sicilia. Domanda: “Perché non fermarsi lì?” E ancora erano prossimi alla costa della Tunisia. Domanda: “Perché non fermarsi lì?” Macché, sono continuati imperterriti, magari con scarsità di acqua e di cibo (non erano forse scappati in fretta per sfuggire alle armi greche?) a navigare verso il Lazio. Per approdare su coste paludose. E se invece avessero usato la logica e l’esperienza di navigazione navigando poco distanti dalla terraferma (per sicurezza, non si sa mai…) e fossero risaliti fino al tranquillo Adriatico?

 

Le correnti marine

Qui, come abbiamo documentato e pubblicato, grazie a uno studio del dottor Nazzareno Graziosi, le correnti marine li avrebbero condotti senza sforzo ad approdare sulla costa marchigiana, tra Numana e Porto san Giorgio, come avviene ancora oggi. E su chi avranno incontrato qui vi rimandiamo a leggere gli articoli che pubblichiamo da oggi in poi (purtroppo a puntate in quanto la ricerca del dottor Graziosi è stata necessariamente lunghetta).

 

Le datazioni e il territorio Piceno

Per non parlare delle datazioni attribuite ai reperti archeologici “abbondantissimi” (chissà perché così abbondanti proprio qui?) nel Piceno. Tombe con corredi a dir poco sontuosi, sia maschili per le armi che femminili per gli accessori, risalgono al IX secolo a.C., quindi ben prima della fondazione di Roma. Questo significa che nel Piceno esisteva una popolazione bellicosa e ricca. Ora, la guerra di Troia si svolse (ci sono diverse datazioni) circa nel 1200 a.C. per cui, Enea, approdando sulle rive del Lazio avrebbe di certo trovato solo paludi (i romani ancora non c’erano e sarebbero passati altri 5 secoli prima che iniziassero la bonifica), non gente ricca ad accoglierlo e a cui chiedere ospitalità. Invece nel Piceno avventura, e accoglienza, potevano essere ben diverse… chi avrà interesse e costanza di leggere scoprirà che anche l’Eneide è stata oggetto di una bella censura ma il dottor Graziosi ha trovato la versione originale tradotta da Annibal Caro e…

Fernando Pallocchini 

15 dicembre 2017      

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