Un allarme, ormai prolungato da qualche anno, riguarda le pensioni dei giornalisti, e tra le varie cause ce ne sono un paio che fanno pensare: “Quale strada sta prendendo l’informazione, quale il suo futuro?”
Lo spunto per una riflessione è venuto dai conti in rosso dell’Inpgi (Istituto Nazionale di previdenza dei giornalisti italiani), che nel 2017 mostra un segno meno di 104milioni di euro e ne prefigura un altro ancora più pesante per il 2018 (-163milioni di euro).
Mettendo da parte le polemiche osserviamo dati reali: dal 2012 nel mondo del giornalismo italiano si sono persi 2.700 posti di lavoro e, fatto gravissimo, nei soli primi sei mesi di questo 2017 se ne sono persi oltre 800!
Sono cifre che mettono a rischio il sistema pensionistico dell’Ente ma, questo, è un problema dei giornalisti. Il problema per i lettori, e per una corretta informazione, è un altro.
Ricordate come la Regione Marche abbia individuato l’area per l’ospedale unico nel maceratese? Lo ha fatto attraverso un algoritmo. Sbagliando, secondo noi, il luogo, posto tra una grossa discarica non più usata perché piena e il Cosmari, che tratta lo smaltimento dei rifiuti con tutte le problematiche connesse. La scelta è dipesa dai dati immessi nell’algoritmo che non hanno tenuto conto dei problemi ambientali affidandosi alle distanze chilometriche.
Oggi, su internet, chi fornisce informazioni (soprattutto commerciali) agli utenti lo fa basandosi su algoritmi. È un algoritmo a scegliere cosa proporre.
Un esempio: vai sul social a leggere determinati argomenti, l’algoritmo ti manda immagini di prodotti relativi alle tue letture condizionando la tua scelta, vedi alcuni prodotti sì e altri no; ancora, in politica, si spingono argomenti positivi su di un certo personaggio politico non proponendo quelli negativi e si fa il contrario con l’avversario politico: chi avrà più probabilità di vincere una elezione?
Nel caso dell’informazione giornalistica questa viene immessa in rete sì dalle testate giornalistiche ma poi è selezionata da un algoritmo per inserirla nei canali della grossa informazione (vedi come esempio i social ma anche altre piattaforme – yahoo, tiscali ecc.).
È evidente che i giornalisti, per svolgere a questo livello la funzione di scelta, non servono. E ne occorrono in minor numero nelle redazioni perché le testate, o grazie anche loro a un algoritmo o per scelta “manuale”, vanno a pescare le notizie (già prescelte da altro algoritmo) sui social e non sul campo in modo reale e più vero.
Il problema, gravissimo, è: chi imposta gli algoritmi, come li imposta? Quali parametri immette?
È evidente il rischio di manipolazione: alcune notizie passano, altre no.
E il “gregge” viene guidato dagli umori del pastore.
Fernando Pallocchini
10 dicembre 2017