Dall’inedito “Caravaggio e le
ombre dell’anima” di Matteo Ricucci
Leggendo la biografia di Michelangelo Merisi da Caravaggio impressiona la strana dicotomia che lo contraddistinse: artista geniale e folle uomo di strada, quasi a ipotizzare l’esistenza in lui d’una dissociazione della personalità e di un conflitto tra pensiero e vita di relazione.
Creatività d’ispirazione divina
La sua creatività aveva un sapore d’ispirazione divina a giudicare non solo l’alta qualità del suo prodotto artistico, ma anche la perfetta ortodossia dei simboli evangelici rappresentati sulle sue tele. Egli, per la prima volta nella storia della pittura, utilizzò come modelli, i miseri e i perseguitati la cui sofferenza faceva storcere il naso agli alti prelati della santa romana Chiesa e ai rampolli di nobile schiatta i quali, vivendo in ricchi palazzi, stracolmi di aurei ornamenti, non sopportavano la vista di tanto squallore. Il suo atto creativo, nascendo dalla viva sofferenza per la strenua fatica di realizzare un sogno tutto suo, gli faceva esplodere nel sangue quantità dirompenti di adre-nalina che, per forza di cose, lo spingevano ad aggredire il mondo di quei “ciuchi bendati”, servi aggiogati alla ruota del destino, che ardivano attraversargli la strada!
Figlio del proprio tempo
Un antico detto recita: “L’uomo è sempre figlio del proprio tempo” e, pertanto, anche l’analisi di questo aforisma, ci aiuterà a risolvere il suo mistero. Il periodo di transizione, a cavallo tra Rinascimento e Barocco e, più precisamente, quello che va dagli anni ‘80 del secolo XVI ai primi dieci anni del XVII che si chiudono, poi, con la tragica morte del Caravaggio, fu il più terribile e angoscioso di tutta la storia europea. Guerre tra monarchie gelose; scismi religiosi; lotte sanguinose tra Protestanti e Cattolici nel Nord Europa, mentre al Sud infuriava la caccia, da parte degli inquisitori della Controriforma, ai sospettati di eresia; lotte cittadine tra i principali partiti politici; lotte del potere costituito contro il brigantaggio sia all’interno delle stesse città che all’esterno, lungo le vie di traffico commerciale; mentre le coste dei nostri mari, dal canto loro, venivano sottoposte ad assalti, fulminei e feroci, da parte dei pirati saraceni, assetati di sangue cristiano e avidi dell’oro del nascente capitalismo del mondo occidentale. Tali scorrerie erano così numerose e così audaci da risparmiare ben pochi paesi rivieraschi dal loro rovinoso saccheggio.
Crudeltà inenarrabili
Esso portava, inevitabilmente, a sterminio in massa dei maschi che venivano scuoiati vivi, impalati o dati alle fiamme, dopo averli cosparsi d’olio. Le donne e i bambini, invece, andavano a rinsanguare il mercato mondiale degli schiavi, piaga quest’ultima che infettava anche il mondo cristiano. La Francia era costantemente in guerra con Inghilterra, Spagna, Paesi Bassi e Principati Teutonici per questioni territoriali, contese dinastiche od orgoglio mal digerito e, all’interno dei suoi confini, contro ugonotti, catari, anabattisti e valdesi; il suolo italiano, poi, fu calpestato dagli eserciti europei con guerre che duravano decenni, così rovinose da dissestare le immense ricchezze del loro erario pubblico, addirittura anche quello del vasto impero di Carlo V, il più potente e più ricco del mondo. Infine, consunzione di intere armate, formate da soldati sottratti, con violenza e con inganno, al lavoro dei campi e all’amore delle famiglie.
La battaglia di Lepanto
La Battaglia di Lepanto del 1571 contro una soverchiante flotta turca, fu uno scontro tra civiltà che lasciò tramortiti per secoli entrambi gli schieramenti e che salvò l’Europa da una totale e irreversibile islamizzazione. Tutto ciò era parto dell’illusione di cambiare l’assetto millenario dell’Europa e formare così un mondo nuovo, più giusto e vicino alla Verità, sogno quest’ultimo della “Nuova Scienza” e della “Nuova Filosofia”, costrette dagli inquisitori a vivere in una sorta di semiclandestinità. E nel tentativo di realizzarlo, venivano sacrificati uomini di valore, rei di amare liberamente la vita e l’umanità.
Instabilità sociale
Conseguenza inevitabile di tali eventi furono l’instabilità sociale e politica nonché l’impoverimento delle famiglie che generavano un caos di portata biblica. Quando, infine, re, principi e governanti raggiungevano difficili e labili armistizi, migliaia e migliaia di soldati, reduci di mille sanguinose battaglie, rientrando nei loro rispettivi paesi, non ritrovavano più né case, né mogli, né figli, né genitori, falciati dalla fame, dalla peste e dalle migrazioni, libere o forzate, verso altri paesi alla ricerca d’una capanna e di un sicuro tozzo di pane.
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