Si ricordano a Mogliano due professionisti, amici per la pelle di nome Marco e Pietro, che avevano frequentato insieme il seminario di Fermo. Il loro forte legame risaliva appunto a quella esperienza adolescenziale ma bisogna dire subito che entrambi da essa deragliarono: nessuno dei due diventò prete e, anche in seguito, i loro destini divaricarono. Lasciato il seminario Marco si laureò e si dedicò all’insegnamento scolastico in maniera esclusiva, quasi maniacale, per il fatto che era rimasto scapolo. Pietro, invece, diventato medico venne via via sopraffatto dagli impegni, tanto che ormai non gli lasciavano più respiro né di giorno né di notte. Il curioso è che, anche in fatto di religione, vi fu una dicotomia da far sbalordire, poiché Marco restò attaccato alla Chiesa e non fu soltanto un praticante assiduo ma anche un insegnante portato a trasfondere nei suoi alunni la fede e indottrinarli a dovere: insomma fu una specie di prete laico. Pietro, per contro, di convinzioni assolutamente liberali, non solo divenne agnostico ma si fece anticlericale e giunse alle dissacrazioni più aperte. Nondimeno, questa divergenza di sentimenti e di vedute non impedì ai due amici di restare tali, e quando potevano rincontrarsi il piacere era reciproco e lo scambio di confidenze assicurato. Un giorno Pietro tornò nella sua Mogliano, ove Marco era rimasto e insegnava, e il medico, dopo aver confidato all’amico che i suoi assilli professionali non gli davano requie, mentre quelli familiari erano gravosi, chiese: “Ma tu, Marco, sì rmàstu angóra scapulu?” (Ma tu, Marco, sei ancora celibe?). Alla risposta affermativa Pietro se ne uscì a dire: “Allora vur dì’ che tu morerài vergine e io martire, e jarrìmo tutt’e du’ im Paradisu!” (Allora vuol dire che tu morirai vergi-ne e io martire e andremo tutti e due in Paradiso!).
26 novembre 2017