Anche tu li conosci
i muri che sudano
le macchie scure sul pavimento
quel triste fazzoletto di cortile
e l’alberello stentato
con dodici ceste di pesche,
il miracolo che manca nei Vangeli.
Come me tu sai tutto:
sono le nostre case.
Stanze gelate sotto i tetti
e il sole di Mimì anche per noi
quando era l’ora di attendere
i giochi delle rondini.
Primo piano là fuori le mura
bagni di luce
natura silente sotto la neve
nudità accarezzate
da un tepore diffuso
odore di vernice fresca
e il balcone a cui saliva fievole
la voce di una tromba.
Oggi la nostra casa
ha perfino un cancello.
Ha un prato, una mimosa, cento rose.
E tante scale da salire e scendere.
È la casa che ci rispecchia.
Come le altre del resto.
Case di gente come noi,
senza grandezza,
vite che se ne vanno
e che nessuno racconta.
Per questo con tenacia
salviamo le nostre case.
Le nostre case siamo noi,
noi, anima e storia.
Le case che abbiamo abitato
sono il nostro gulag
e la vetta dell’Everest.
22 ottobre 2017