“Il mio sessantotto”, scritto da Bruna Tamburrini ed edito da Edizioni Simple, è un libro a più volti. Inizia riportando il lettore, in modo discorsivo, né troppo superficiale, né troppo impegnato, alla fine degli anni ’60, inizi degli anni ’70, facendo rivivere quel periodo attraverso le canzoni in voga, il modo di essere nei paesini marchigiani, il cambiamento abbastanza radicale della moda e, perché no, anche del taglio dei capelli sia per i maschi (ricordate i capelloni?) che per le femmine. Fin qui tutto bene, o quasi, in pratica un “Mi ritorni in mente” leggero e piacevole (citando Lucio Battisti spesso presente nel libro, in compagnia di altri ma soprattutto dei Beatles, veri riformatori sia nella musica che nei testi). Poi c’è anche il ’68 fatto di fermenti sociali e di contrapposizioni politiche, di voglia di trasgressione, di equità e di giustizia: uno svegliarsi dal torpore durato decenni per guardare il mondo con occhi diversi, più attenti e meno soggiogati dal volere altrui o, meglio, dai voleri e dai valori della tradizione. Un ’68 che l’autrice del libro ha vissuto con intensità ad Urbino, frequentando amicizie del Movimento Studentesco e assimilandone i concetti. Detto questo le pagine del volumetto offrono un momento intermedio, una sosta leggendo dei raccontini imperniati su vari personaggi e sulle situazioni che gravitano loro intorno, modeste figure di paese ma anche professori, scene di mercato e classiche fregature passate da coloro esperti più di lei in questioni informatiche, auto che non ne vogliono sapere di collaborare per colpa del… demonio (per la serie: la colpa è sempre di qualcun altro). Non sono scritti fini a se stessi ma in ognuno di questi c’è, in fondo, una morale. Non una morale come quella delle favole ma una morale verista, che viene dal vissuto reale guardato con occhi esterni o con il senno del poi. Arriva infine una parte finale, breve e intensa, sotto forma di una lettera scritta a una persona che non c’è più ma che quando viveva era una che ci si poteva ragionare, per comprendere e per farsi comprendere. È una lettera forte come un “j’accuse!” che ci vede pienamente d’accordo con la quasi totalità degli argomenti trattati. Il mondo ascolta da tutti tante belle parole di pace ma i potenti lucrano sulle guerre, le stimolano per incrementare denaro e potere. Il terrorismo che uccide mascherandosi dietro alle religioni. Il femminismo portato all’eccesso tanto da decadere in una forma di razzismo con la imposizione di “quote rosa” nelle liste politiche: si ottiene uno spazio non per capacità ma per obbligo di legge! La famiglia sempre più in difficoltà sostituita da unioni momentanee, perché il costituirla comporterebbe una potenzialità economica che oggi il mondo del lavoro non consente. Con la televisione poi è iniziato il consumismo psicologicamente imposto e la distruzione di un modus vivendi con una evoluzione televisiva che è arrivata a stravolgere il modo di vedere la vita. Dipendenza, assuefazione. Danno ulteriore viene dalla tecnologia, che attraverso cellulari, videogiochi e internet, sta portando la visione del mondo e dei rapporti interpersonali a essere da reale a virtuale. Male ulteriore è l’indifferenza, neanche la visione di morte e sofferenza colpisce le persone, ma è più importante, anziché intervenire e aiutare il prossimo, filmare l’accaduto per pubblicarlo nei social! E la politica? Ormai destra e sinistra sono iconfuse fra loro tanto da essere unite da reciproci interessi che non sono quelli della popolazione. Bruna Tamburrini ha una visione reale della situazione e colpisce duro.
Fernando Pallocchini
6 agosto 2017