L’argomento è troppo vasto per ridurlo in un articolo e se venisse trattato con asserzioni personali, si potrebbe essere tacciati di partigianeria o di spirito campanilistico, si è così tradotta in italiano comprensibile la parte relativa agli Ancili dal capitolo “Dichiarazione di alcune parole latine per l’intelligenza della storia” da “Opere Di Cornelio Tacito Trasportati Dalla Lingua Catalana Al Toscano Da Girolamo Canini D’Anghiari – Giunti Venezia 1618”.
Ancile
L’Ancile era uno scudo di metallo in forma ovata (ovale o (bilobato) tenuto da Romani in gran venerazione perocché dicevano esser caduto dal cielo al tempo del Re Numa con voce sentita in quell’instante (così racconta Festo) che prometteva l’lmperio del mondo a quella Città, che lo tenesse e conservasse. Onde i Romani per gelosia, che non ſosse rubato, ne fecero ſare undici altri della medesima materia, e nella medesima ſorma, tanto simili, che non si potevano riconoscere dal vero, col quale mescolatamente erano tenuti nel tempio di Marte, sotto la custodia prima di 12, e poi di 24 Sacerdoti eletti della prima nobiltà, e molto stimati, detti Salij. Questi nel mese di Marzo vestiti con la Tonica Dipenta (Forse la tunica fregiata di porpora di cui narrano Plutarco e Tito Livio), e pettorale di rame, o come dice Dionisio Alicarnasseo, col Balteo, (cinta militare di cuoio che dalla spalla destra attraversava il petto fino al fianco sinistro tempestata di bottoni d’oro o d’argento od altro metallo, alla quale si attaccava la spada) portavano per la Città detti scudi; percotendoli con certi coltellini, ò lancette fatte a posta, cantando, e ballando,d’onde presero il nome de Salij, a sáliendo (saltare); peroché il salto, e il ballo era molto familiare a gli antichi nelle rappresentazioni delle festività di quei tempi, come mostra Ateneo (festa equiria)… Celio Rodigin… ln questa lor cantilena veniva nominato, e replicato spesso il nome del Fabbro Verurio Mamurio (Mamuriales), che haveva così maestrevolmente lavorati gli scudi, per conservare a i posteri la sua memoria in ricompensa dell’opera; e dopo lui Giano (anche primo re dei latini) e tutti gli altri Dei, e Dee principali, eccetto Venere, della quale non era lecito far menzione in quella canzone. Volsero poi gl’imperatori, che vi s’aggiungesse anco il nome loro. Polemone, antico scrittore delle cose d’Italia, mette Enea per autore dei Salij. Et Ottavio Erennio, e Antonio Gniso dicono che i Salij furono Sacerdoti d’Ercole, e non di Marte; con i quali s’accorda Virgilio: Populeis adsunt Salij e vinctis tempora ramis, (sono presenti i Salii, e con la testa ornata di rami di pioppo), essendo il pioppo consacrato a Ercole, e non a Marte. Vedi il Colonna studiosissimo Scrittore sopra i ſrammenti del primo libro d’Ennio, dove sono molti altri particolari a questo proposito. In quei giorni, che gli Ancilí erano portati attorno, si ſacevano per la Città continue feste, e conviti solenni, chiamati cene Saliari, e in questo tempo riputato di mal’Augurio, finché non si riponevano al luogo loro, ogn’uno si guardava, e s’asteneva di trattar negozij gravi e importanti tanto pubblici, come privati e di ſar viaggi, osservantosi ciò; non solo dentro, ma ſuori Roma, come si cava da Livio a 7° libro 4 Deca’, dove riſerisce, che Scipione Asiatico passando in Asia, si fermò alcuni giorni sull’Elesponto per lassar passare i Saliari (feste); e il fratello Scipione Aſricano per la medesima cagione si ritirò in quei giorni dall’esercito, essendo uno de’ Sacerdoti Salij; (dal) che arguisce anco la nobiltà di quel Sacerdozio, essendo Scipione allora il primo e più segnalato gentil’huomo Romano di quell’età. Si spostavano gli Ancili dal luogo loro, quando… era intimata la guerra ai nemici… E il generale deputato a quell’impresa (come dice Servio) andava nel tempio di Marte, dove dopo gli Ancili, moveva anco l’asta quel simulacro, dicendo: “Mars vigila”. Ovidio nel 3° de‘ Fasti racconta lungamente la favola di questi Ancili, e più distesamente Livio e Dionisio e Plutarco nella vita di Numa Pompilio, dove sono notati molti altri particolari intorno all’abito, al ballare, e altre circostanze dei Sali.
Ori, scudi, spade
Tesauro Emanuele,insigne erudito del 600 descrive i Salij e i Boj di Balloveso, e la loro tecnica di guerra:
1 – La dura vita del campo e nei campi li rende robustissimi.
2 – Protetti da piccoli scudi, armati con aste, archi e grandi spade che facevano lente ferite ma irreparabili.
3 – Irrefrenabile la voglia della zuffa e ancor più quella del bottino (che andava equamente diviso).
4 – Si presentavano in campo, risplendenti di corti saij, guarniti d’oro, con collane al collo (Torques – Vedi M. Torquato in “Salaria via del sale?”in La rucola n° 212 gennaio 2016), armille alle braccia e svolazzanti pennacchi sul capo (apex, cimieri), suscitando grande spavento e meraviglia ai nemici.
Nota dell’autore – I Sali, con le loro ricchezze, le gesta, le grida, gli abbigliamenti e senza l’aiuto di psicologi, o delle scuole dell’obbligo, dell’università e di masters praticavano anche la guerra psicologica. Nazzareno Graziosi
19 luglio 2017