La Fondazione di Roma

Una ricerca portata avanti dalla nostra collaboratrice Simonetta Borgiani conduce a cosiderare risvolti storici assai interessanti.

 

Il Sator

Il rituale di fondazione prevedeva regole precise, come la individuazione del luogo, che venne definito dal sacerdote (Romolo), di forma quadrangolare e orientato astronomicamente: l’area di terreno era la corrispondenza terrestre di un preciso punto celeste nel momento della fondazione. Romolo, posta la prima pietra sul colle palatino, tracciò in cielo il nucleo centrale della nuova città con il lituo,

un bastone simile a un pastorale, strumento che da allora venne conservato nel sacrario sul Palatino stesso dai Salii Palatini, i dodici sacerdoti consacrati a Marte, custodi anche degli scudi sacri, tra i quali si nascondeva l’Ancile, lo scudo donato da Marte a Numa Pompilio, per assicurare a Roma l’invincibilità. Nel cielo che vide Romolo la sera del 20 aprile 753 a.C. brillavano le costellazioni di Bootes, simboleggiato dalla divinità Fauno/Silvano, il Grande Carro dell’Orsa Maggiore, e Spica della costellazione della Vergine simbolo del “solco” di inaugurazione. Perfetto l’auspicio, immortalato dal quadrato sator Sator-arepo-tenet-opera-rotas, traducibile come: il seminatore Satiro (o Fauno o Silvano) tiene, guida, le ruote del carro della costellazione del grande carro, e compie l’opera di seminare la vergine, corrispondente alla terra dove nasce la nuova città. La data 21 aprile diverrà ricorrenza della fondazione di Roma, sostituendo le tradizionali festività in onore della dea Pale, protettrice della natura, del bestiame e della guerra. Da quel momento rimarrà la tradizione di fondare le città romane ponendo la prima pietra a Nord-Est, trovare il centro, l’axis mundi  che  collega la terra al cielo, gli assi cardo e decumano e tracciare la tipica forma a scacchiera degli insediamenti. In questi luoghi rimarrà la testimonianza delle epigrafi sator, che verranno trovate anche nelle abitazioni delle famiglie patrizie incaricate ai riti di fondazione e di rievocazione (vedi iscrizioni a Pompei, casa dei Fabi). Il sator sarà ancora diffuso nei secoli successivi, fino al medioevo quando, assorbito dal cristianesimo, viene usato per consacrare ponti, città e cattedrali, finché a partire dal 1200 vari concili ne decreteranno una valenza eretica, disponendone la distruzione o l’occultamento. Nota importante è che il Sator si trova anche in località del Piceno, infatti sono state trovate queste iscrizioni ad Acquasanta Terme, a Capestrano (in foto – ph Alberto Monti), a Paggese (frazione di Acquasanta Terme), a Torrececchina (Fabriano).

(fonti:Nicola Iannelli – Sator epigrafe culto delle origini di Roma; Wikipedia, Treccani)

 

Il nome segreto di Roma

sulla prima riga si legge: sei deo sei deivae

Il vero nome di Roma era tenuto accuratamente nascosto, insieme con quello della divinità tutelare segreta della città, per scongiurare i rischi dell’Evocatio, il rito che i sacerdoti romani usavano per ottenere che una città nemica assediata venisse da loro sconfitta dopo avere invocato la sua divinità, convincendola ad abbandonarla per trasferirsi a Roma. Ecco perché nella potente Roma i culti stranieri (Cibele dalla Frigia, Cerere dalla Grecia, Mithra dalla Persia, Iside e Serapide dall’Egitto, ecc.) detti peregrina sacra, erano così numerosi: per mantenere la promessa fatta ai numi. Ma non volendo che le accadesse la stessa cosa, cioè che l’Evocatio venisse fatto dai nemici di Roma, il nume protettore dell’urbe diventerà segreto e di sesso incerto (genio), come venne inciso su un’ara “sei deo sei deivae” e su uno scudo sacro “genio urbis romae sive mas sive foemina”. Il nome e il nume segreti, divennero noti solo ai pontefici e a una segreta confraternita,  custodi anche del libro Epoptidon, il volume sui misteri dell’Urbe confiscato a Quinto Valerio Sorano, il tribuno della plebe che pagò con la crocifissione l’accusa di avere in quel testo rivelato il nome di Roma. Nei secoli tante le ipotesi su questo enigma, tra i nomi candidati troviamo Petra, Amarillis, Antusa, Valentia, Saturno, Flora e lo scontato Amor, ma il vero nome non è ancora stato svelato. Spaziando tra le varie teorie e interpretazioni, si può pensare che prima della fondazione di Roma da parte delle 3 gentes (i gruppi di famiglie originarie), fosse già esistito un nucleo abitato con un altro nome, divenuto poi fuorilegge per qualche motivo politico. In parole povere ipotizzo che il vero nome, quello segreto, fosse quello precedente alla fondazione ufficiale: l’insediamento pre esistente un nome, o soprannome, doveva già averlo, solo che, nata Roma, ciò che c’era prima, e i veri fondatori, probabilmente dovevano sparire dalla memoria con le buone o le cattive, condannando a morte chi osava farne menzione! Nel tempo il segreto diventò una superstizione consolidata: pregare il nume di andarsene da una città – nominando il vero nome di questa – con promessa di erigergli altrove un tempio più bello, spingeva questo ad abbandonare la città portandosi via la buona sorte. Domanda: “Che insediamento c’era, prima, sul colle Palatino?”

(Fonti: Davide Mosca – il profanatore di biblioteche proibite; Pietro De Angelis – Le origini di Roma e il suo nome segreto; Giorgio Ferri  – Valerio Sorano e il nome segreto di Roma)

 

Gentes originarie dal Piceno

Secondo la storia romana finora ricostruita, Roma fu fondata per motivi commerciali su una strategica posizione di crocevia e di frontiera dalle cosiddette “gentes originarie”, un centinaio di arcaici clan familiari suddivisi in tre gruppi etnici, Latini, Sabini ed Etruschi. L’assemblea dei capi, detti “patres” (da cui il termine “patrizio”) di queste cento famiglie, diede origine al Senato, organo consultivo del re, leader politico da loro eletto. Successive divisioni classificarono, iscrissero, queste popolazioni in 21 tribù, quattro urbane per i proprietari terrieri in Roma e 17 tribù “rustiche” per le famiglie stanziate a Roma ma con proprietà terriere presso altre città o altri luoghi della penisola. Le successive conquiste di terre, venivano attribuite a queste tribù, in virtù della presenza nell’esercito di membri delle stesse. Il primo tempio costruito in Roma, già al tempo di Romolo, fu quello di Giove Feretrio, accanto a una grande quercia sacra presso il colle del Campidoglio. Il signum di Giove Feretrio, l’oggetto sacro in esso custodito, era una pietra dura, il lapis silex, probabilmente un’ascia preistorica, con la quale si effettuava il sacrificio di una scrofa al termine della processione detta ovatio, che culminava con l’offerta a Giove Feretrio della spolia opima, le armi del nemico ucciso in battaglia. Usanza quella della scrofa che ricorda le descrizioni rituali descritte nelle tavole eugubine, protagonisti i maiali. L’attenzione torna su Norcia, e a toponomastiche di luoghi il cui nome ricorda tale animale (zone di allevamento?) come Porchia di Montalto (AP) l’antica Porchia, Monte Porche (vicino a Norcia e Visso) ecc., sottolineando la forte presenza e influenza del popolo piceno-pupuni nella Roma già alla sua fondazione. Azzardiamo anche la Gens Porcia, famiglia importante romana, il cui fondatore, Marco Porcio Catone, aveva capelli rossi e occhi azzurri, come in tanti ritratti negli antichi affreschi dei Sibillini. Insistendo sul concetto che “l’uso de’ vocaboli nasce dall’uso delle cose”, prove sulla presenza pupuni tra le gentes originarie, si potrebbero trovare esaminando nomi, documentazione epigrafica e storiografia delle tribù. Per esempio si può citare una delle tribù rustiche denominata Pupinia, insediata nella zona dell’attuale Tor Vergata. La gens pupinia ufficialmente scompare già il IV secolo a.C., anche se al passaggio di Annibale c’è ancora un territorio appena fuori Roma denominato Regione Pupinia, o ager pupiniensis. Sarebbe interessante ricostruire come mai questa gens si fosse insediata proprio in una zona insalubre e sterile, come se altrove non potesse andare, e come mai sia sparita precocemente da Roma (rif. Analisi storico topografico antiquaria della carta dé dintorni di Roma – A. Nibby tomo II 1837). Trovandosi poi qualche lapide a Trieste, (rif. Croniche ossia memorie storiche antiche di Trieste tomo I parte I -1819) dove risulta che tra i coloni romani di questa città ci fossero i pupinii, è certo quindi che questa tribù abbia regolarmente beneficiato delle spartizioni tra i terreni conquistati. Dal testo risulta pure che, sempre a Trieste, troviamo a rappresentare la categoria sacerdotale i Sodali Salii, che ci riportano ancora al piceno (vedi immagine). A oggi, una traccia pupinia/pupuni la ritroviamo in Dacia, dove si può dialogare con i residenti in dialetto stretto fermano, e un cognome diffuso è “Popòn”…sarà stato qui, in quella che oggi è la Romania, che si trasferì in massa la gens Pupinia? Un’ultima provocazione: una delle teorie sul nome di Roma, ci è data da un passo di Servio nell’Eneide, che tradotto in italiano dice: “il fiume fu detto rumen” quindi Roma significherebbe “città del fiume”: anche la nostra Roma-Urbisaglia è una città del fiume, costume di un popolo che sceglie così le proprie città-stato-capitali economiche? In entrambe ritroviamo come simboli e protettori il lupo, animale totem etrusco e piceno, e il picchio della divinità picena Pico Marte. E quindi, quale delle due sarà stata fondata per prima? E da chi? La risposta non è detto che sia scontata.

(Altre fonti: wikipedia-titoli vari, e spunti presi da dissertazioni sul tema di Medardo Arduino, Nazzareno Graziosi e Giovanni Carnevale)

Simonetta Borgiani

Roma, Museo Borghese Formella a mosaico con rappresentazione del mese di Marzo e cerimonia di Salii – da notare che i sacerdoti Salii stanno portando un maiale nero, forse per un sacrificio

14 luglio 2017

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