“Esagerato!” mi direte… ma non è vero. Nell’atrio del palazzo comunale incombono (si fa per dire) due statue romane provenienti dalla facciata del cimitero. Questi due “pezzi archeologici” in origine, con ogni probabilità, stavano sulla sommità del colle di Villa Cozza ove, nell’alto medioevo maceratese, si trovava il “Castrum filiorum Adam” esistente prima della nascita di Macerata. Pare che questo Adamo fosse un avvocato dei vescovi fermani.
Convento dei Cappuccini
Divennero proprietari di queste zone, in un secondo tempo, i Ricci, ramo della famiglia degli Ottifredi. Una discendente di questa famiglia, Margherita, nel 1594 donò ai Cappuccini per la costruzione del loro nuovo convento tutta l’area compresa fra l’odierna via Gigli e la strada che costeggia l’attuale cimitero. Nel convento dei Cappuccini vissero frati dai più svariati interessi e, fra questi, ancor oggi rimane fra gli studiosi la memoria di Fra’ Cassiano Beligatti che, nel ‘700, esplorò scientificamente e per primo la civiltà tibetana di cui dette ampie relazioni: non poche di queste si conservano nella Biblioteca Comunale Mozzi-Borgetti. Nel 1808 anche su questo convento cadde la soppressione degli Ordini religiosi, la comunità cappuccina fu dispersa e i beni vennero incamerati dal demanio.
La famiglia Basilj
Una parte delle aree occupate dalla selva conventuale fu acquistata, addirittura, dal Maestro di cappella del duomo Francesco Basilj. Questo musicista di valore compose opere di successo e divenne anche Direttore della Cappella Giulia in San Pietro in Vaticano; ebbe quattro figli che, con una fantasia un po’ statica, chiamò Basilio, Basilide, Basilissa e Basilla. Tutti i nostri musicofili rimproverarono a Francesco la bocciatura del Verdi aspirante ad entrare nel Conservatorio di Milano ma, forse, la condanna fu troppo severa. Più caro agli spagnoli fu il figlio Basilio che, a detta di critici, rinverdì in quella nazione il gusto per la “Zarzuela”, opera di carattere popolare. Basilissa si fece monaca in San Lorenzo; Basilla sposò il grosso negoziante Pietro Natali, accesissimo anarchico, la cui famiglia possedette anche una notevole fornace.
Casino di villeggiatura
Dopo un veloce passaggio di proprietà a un tal Raffaele Mandolini la zona fu acquistata dal settempedano Conte Augusto Caccialupi-Olivieri-Parteguelfa che trasformò la vecchia casa colonica in un “casino di villeggiatura”. Chiuse la fornace e qui riunì la sua importantissima raccolta d’arte che fu classificata dal Marchese Filippo Raffaelli a seconda delle scuole pittoriche. Sempre qui, secondo lo studioso Roberto Nardi, il Caccialupi organizzò un bel giardino ove piantò uno splendido “pino di Guadalupe” ancor oggi resistente. Il luogo ebbe, allora, un felice periodo di splendidezze. Il Caccialupi convocò un “salotto” d’intellettuali e forestieri; intervenne il professor Carlo Calise, Rettore dell’Università, ed anche Giulio e Carlo Cantalamessa-Carboni, notissimi critici d’arte, lo “scultore dei Mille” Giambattista Tassara, il critico letterario nonché autore di interessanti testi, Giulio Natali. A questo cenacolo si aggiunse, nel 1889, il Prefetto Luigi Prezzolini che portava con sé il piccolo Giuseppe il quale, invece, avrebbe preferito giocare con l’amico Pompei nell’oggi scomparso giardino della Prefettura. Su questo ambiente, descritto con qualche anacronismo dallo stesso Natali, nel 1893 si abbatté un vero e proprio “tornado”. Il Caccialupi da anni era tesoriere dell’Amministrazione Provinciale ed era anche sensibilmente “distratto” tanto che investiva gli introiti provinciali nella sua collezione d’arte. In quell’anno un pignolo revisore scoprì la “distrazione” sicché tutto andò all’asta, anche la villa.
La contessa Anna Cozza
Vinse la gara l’orvietana Contessa Anna Cozza che si insediò nel “casino di villeggiatura”, con giardino e viale alberato di pini immettente sulla provinciale, continuando la tradizione del “salotto”, rinfocolata dal fatto che la Contessa era parente del Conte Adolfo Cozza, collaboratore del Sacconi nella costruzione del famoso monumento a Vittorio Emanuele II. Qui i Cantalamessa ebbero modo di arrabbiarsi per la scelta della cavalcatura del “Re galantuomo”, caduta sul veneto Chiaradia che aveva fornito un “cavallaccio da carretto” in luogo del “focoso destriero” del Cantalamessa ascolano. Poi le disquisizioni si spensero. I Prezzolini erano partiti da tempo; il Tassara emigrò a Genova; i Cantalamessa tornarono in patria. Giuseppina, nipote della Contessa Anna, sposò Goffredo Tomassini-Barbarossa e la zia stessa si trasferì a Bologna nel 1893.
Stabilimento di bagni pubblici
La villa fu data in affitto al commerciante Canestrari fino a quando, nel 1907, il dottor Giovanni Fabi vi insediò uno stabilimento di bagni pubblici che, nel 1909, si trasformò in “casa di salute” (probabilmente per affetti da tbc). Questa “vocazione” fu recepita dai fratelli Virgilio e don Luigi Monachesi che, nel 1911, per 85.000 lire acquistarono la villa donandola poi alla Congregazione di Carità affinché fosse adibita a “sanatorio”. A questo punto si entra fra le “nebbie cimmerie” con qualche squarcio di ricordi personali. La Villa Cozza (il toponimo ha resistito egregiamente) divenne “alloggio di servizio” del primario chirurgo. I non più giovani ricordano la figura del professor Garavani e la sagoma della sua Isotta Fraschini dotata, addirittura, di riscaldamento e di ventilazione. Nel dopoguerra vi furono sistemati gli anziani per i quali la energica maestra Luisa Marchesini fondò il periodico “La voce di villa Cozza” cui collaborarono tutti, interni ed esterni. Poi la voce si spense.
Libero Paci
2 maggio 2017