Come è facile dire “capolavoro” nell’arte contemporanea! Ma è sbagliatissimo concedere con troppa generosità.Sono cambiati i criteri di giudizio, e dunque attenzione! Da essi dobbiamo cancellare una certa memoria riguardante il glorioso passato. Oggi un uso sbagliato delle terminologie può creare fraintendimenti e incongruità vistose. Non sfugge ad alcuno che, in generale, le opere di arte contemporanea, rispetto a quelle del passato appaiono molto più sibilline e da un punto di vista artigianale meno consistenti; almeno un terzo della loro artisticità è affidata a sensazioni di tipo concettuale e psicologico. Sono più incorporee e la singola opera perde di consistenza a beneficio di una complessità produttiva sempre più ragguardevole (è il complesso delle opere e non più il singolo pezzo a qualificare un autore, è dunque più logico che il valore si attribuisca e distribuisca sulla globalità della sua ricerca e delle sue creazioni anziché sull’opera singola). La ricerca di Picasso, così come si è evoluta nel tempo, è un capolavoro per la qualità innovatrice che ha prodotto nella storia delle arti. Più difficile è individuare il “capolavoro” specie tra le opere del suo periodo maggiormente innovativo e di avanguardia. È la forza rivoluzionaria a rendere le opere “capolavori”, l’estro e il coraggio propositivo che le generano.
La stessa cosa vale per molti artisti contemporanei dove è l’idea più che il valore per così dire “intrinseco” a qualificare un’opera. Definire “capolavoro” un taglio di Fontana o un cretto di Burri o un fantoccio claunesco di Baj, è quasi ridicolo. Così come è ridicolo definire “capolavoro” un oggetto recuperato di Duchamp, sia esso una forcella di bicicletta fissata su di un banchetto, o un orinatoio. Eppure non si può dire che questi artisti siano stati meno importanti e degni dei loro predecessori: alcune delle loro opere hanno segnato la storia artistica del secolo scorso e restano paradigmatiche ancor oggi. Non è dunque il valore artistico complessivo che viene posto in discussione, ma la consistenza oggettuale e la nobiltà dell’opera singola; quella che un tempo scaturiva da autentica “maestria”, oltre che dalla forza comunicativa. È cambiata la storia, e va rivisto l’uso terminologico sin qui praticato. Attenzione, la considerazione non è marginale! Sbagliando il criterio di giudizio, con l’uso di una terminologia inadeguata, si può far danno all’arte contemporanea più di quanto s’immagini. Si sono prodotti film, e scritte gustose scenette satiriche proprio sulla inadeguatezza di termini e di giudizi! Famoso il film di Sordi in cui la sua simpatica e paffuta consorte, sedutasi per stanchezza sulla sedia di uno dei sorveglianti alla Biennale di Venezia viene scambiata per un esempio straordinario di Body Art. Sordi ha saputo essere geniale nel guadare e giudicare certe “goffaggini” della contemporaneità. E ha sacrosanta ragione anche il pubblico a riderci sopra. Ma l’arte, anche quella contemporanea, è cosa seria, non merita di essere dileggiata.
11 aprile 2017