Il “maggiolino” e la villa sfasciata (oggi restaurata)

Erano i primordi de La rucola (1998) e pubblicammo una breve nota su una scrivania scomparsa dall’ufficio del Sindaco. Subito Libero Paci, indimenticato storico maceratese, prese a premere i tasti della sua vetusta macchina da scrivere e ci inviò quel che segue.

 

Caro Presidente, dai tuoi “annunci” ho saputo che vai cercando una scrivania “maggiolino” scartata da un certo studio comunale. Non sono un fervidissimo ammiratore dell’Amministrazione che l’ha “scansata” (nostalgia?) ma, almeno stavolta, debbo concordare con lo “scansamento” tendente a tutelare una “reliquia laica” di quel “Cavaliere senza macchia e senza paura del Risorgimento italiano” che fu Massimo Taparelli marchese D’Azeglio. La memoria di questo personaggio dovrebbe essere, infatti, oggetto di venerazione da parte dei nostri. Massimo fu legato da strettissimi vincoli di parentela con Macerata. Aveva dato in sposa a un maceratese, Matteo Ricci Petrocchini, la figlia Alessandrina (1852). Ma già nel 1847 era stato qui, ospite dell’altro patriota Diomede Pantaleoni e riconobbe allora: “Non conosco paese più bello di tutta quella regione (le Marche)”. In verità la decisione di Matteo e Alessandrina di stabilirsi a Macerata, nella villa “il Boschetto”, presso Sforzacosta non gli piacque. Gli pareva che la Macerata del 1856 fosse “il regno della regina Pomarè”. Comunque ben conoscendo il carattere della figlia “superba del cognome che porta” si affretto a impartirle istruzioni: “Quando arriverai a Macerata bisogna che la società del paese trovi che il tuo carattere è benevolo, indulgente, affettuoso e che a volerti bene non è fatica buttata”. Pochi mesi dopo avendo saputo, anche dall’amico Pantaleoni, che il comportamento di Alessandrina era risultato piacevole, le scrisse: “Bravo, Birolì (era il nomignolo della figlia)”. Quando poi, nel 1861, arrivò nella Macerata italiana esclamò: “Se non fosse che Macerata in inverno è proprio la reggia di Eolo non avrei difficoltà a farne la mia dimora”. Matteo e Birolì portarono “al Boschetto”, forse da Torino, diversi e interessanti “pezzi” azegliani e questi “pezzi” la Marchesa Isabella Ricci (ultima di casa) lasciò al nostro Comune. E sono “pezzi” interessanti davvero: il piccolo “servizio da scrittoio” in argento formato da calamaio, portapenne, polverino; il busto di Massimo che Carlo Marocchetti, quello del monumento torinese di Emanuele Filiberto, aveva fuso in bronzo; un frammento della sua libreria giovanile che, in vari volumi, reca gustose osservazioni autografe di Massimo. Questi testi erano, con ogni probabilità, riposti nel monumentale scaffale conservato ora nello studio del Sindaco, scaffale che si dice sia stato costruito dallo stesso Massimo. Qualcuno azzarda che anche lo “ scansato maggiolino” sia stato pure opera sua. Comunque bene ha fatto chi lo ha “scansato” per una migliore conservazione. Si può dire lo stesso di una grossa (“sovrana”) Istituzione che ereditò “il Boschetto” dal Marchese Teodoro Ciccolini? La villa è ridotta a un rudere. Eppure fu frequentata dal “martire della carità” Padre felice Rosetani, martire dei francesi nella strage di Macerata del luglio 1799; qui celebrava Messa lo storico maceratese Canonico Enrico Bettucci. Qui, finalmente, in pregevoli tombe, opere dello scultore Angelo Lana, furono seppelliti Alessandrina D’Azeglio e Matteo Ricci Petrocchini entro una cappella dal chiarissimo sapore neoclassico. Chi l’avesse detto a Teodoro Ciccolini che ci teneva tanto? Poteva ben dire… “après moi le déluge!”

Nota del Direttore: forse fu in seguito a questo articolo che lo Smom si decise a restaurare la villa. Chi può dirlo?

21 febbraio 2017 

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