Un valore perduto è un danno per tutti

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” è una frase dello scienziato francese Lavoisier,osservatore acuto della materia organica vegetale o animale. Non era allora ancora stata inventata la plastica, non si conoscevano i conservanti, gli insetticidi, i  pesticidi e i diserbanti o altro. È una delle osservazioni che scaturisce dalla esperienza diretta: aveva capito perfettamente il ciclo naturale del ritorno alla terra, alla  Madre terra, dono incommensurabile del Creato. Oggi, è vero, molte scoperte, molte novità hanno relegato in un secondo piano il concetto di allora, ma non lo hanno annullato, anzi permane vivo e vegeto il principio che “tutto si trasforma”. Mi permetto allora di proporre quello che è un valore perduto: il letame, sottoprodotto dell’allevamento animale, che, nel riciclo, rappresenta un valore enorme. Esso è un formidabile concime naturale, contenente elementi  nutrizionali per il regno vegetale, ha una struttura tale da tenere vivi microrganismi e la microflora che, a contatto con quelli del terreno, formano insieme un connubio perfetto; ha infine una struttura fisica tale da modificare, come emendante, alcune parti del terreno. Basti pensare, a proposito, ai terreni argillosi i quali, sottoposti a contatto con il letame, con il tempo, permettono la flocculazione dell’argilla, rendendoli fertili, addirittura eccezionali se  coniugati poi con semine delle famiglie delle leguminose. Ho usato la parola argilla, conosciuta da molti come terreno particolare. È vero, è particolare in due modi: il primo riguarda la struttura del terreno stesso, il secondo, con percentuale elevata, si tratta di “caolino”, superba materia per la produzione di vasi di terracotta. Ma torniamo alla definizione del letame e alla sua provenienza quasi “esclusiva” dagli allevamenti bovini, suini, ovini e anche da quelli di bassa corte. Allevamenti che rappresentano il più importante anello dell’inizio della buona agricoltura. Non esagero, è così. Gli allevamenti esigono un avvicendamento colturale di presenza delle famiglie delle leguminose, dalle quali si deve ricavare un buon fieno, arricchimento di elementi naturali azotati e altro ancora che il “laboratorio” terra evolve. Debbono seguire poi, coltivazioni che attingono al nostro letame, nella proporzione di almeno 800 quintali per ettaro, durante un’aratura estiva, che contribuisce a formare un letto di coltura per tutte le specie. Ma il letame non è possibile averlo senza la presenza del bestiame. Oggi , purtroppo, sono poche le stalle e pochi gli allevamenti. Non è stata mai  promossa una seria incentivazione atta a conservare la buona produzione della carne, e tantomeno, di conseguenza, quella del letame. Errore grave, è come un motore senza il volano, che spinge con inerzia i successivi movimenti del comparto agricolo. Si è trascurato troppo, la mancata presenza delle stalle con gli animali, necessario a un buon reddito dalle buone carni e dal secondario sottoprodotto letame, confidando nella concimazione con i concimi chimici ritenuti capaci di supplire i bisogni nutrizionali dei vegetali. Il tempo è stato sempre un gran galantuomo; ai posteri l’ardua sentenza. Anche se, non c’è poi tanto bisogno di aspettare chissà quali provvedimenti o riforme, perché abbiamo la bellissima Enciclica di papa Francesco “Laudato sì’”. A proposito lasciatemene ricopiare due righe: “Mentrecoltivaresignifica arare o lavorare un terreno,‘custodire’ vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno, per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelare e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future”. Di fronte a queste poche righe, le mie modeste indicazioni sono come una goccia d’acqua nell’oceano dell’Enciclica.

09 febbraio 2017

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