Lo scotano a Capolapiaggia

È opinione diffusa degli abitanti che a Camerino undici mesi siano freddi e un mese fresco. Nelle tiepide serate estive gli anziani della frazione Capolapiaggia si riuniscono nella piazzetta antistante la chiesa per conversare e raccontare; palazzo Pericoli li ripara dalle brezze montane. Si parla di agricoltura, del tempo, di fra’ Eusebio Guiducci (1883-1963) da Cagli, un cappuccino del convento di Renacavata esperto apicoltore che leggeva il Vangelo vicino alle arnie, della occupazione tedesca degli anni 1943-44. Ma anche di argomenti leggeri come i fantasmi che girerebbero a palazzo Pericoli, a Patullo (ora Paganico) e sulla Croce dei Frati (nei pressi della chiesa di San Gregorio). Sor Cesare Pericoli (1859-1942) era un ricco proprietario terriero di Capolapiaggia che possedeva 3-4 terreni a mezzadria, a fianco del suo palazzo, a Statte, a Caselle, ecc. Il suo molino ad acqua si trovava nei pressi  della cava Efi di Bistocco, forse dismesso già dai primi del Novecento e oggi diroccato. Su Internet si parla sempre di leggende metropolitane, ma esistevano anche quelle di campagna. Si racconta che questo ricco possidente, nato prima dell’Unità d’Italia, avesse seppellito venti marenghi d’oro sotto un mucchio di sassi sul monte di Statte! Cesare viveva nel suo palazzo con marcapiani, costruito forse nella prima metà dell’Ottocento, magari coetaneo della chiesa della Madonna della Misericordia posta di fronte.  Nel  palazzo  ci  sono un paio di sale con  i soffitti dipinti, oggi bisognevoli di restauro. A fianco del palazzo c’era un locale per far essiccare e immagazzinare lo scotano; non mancava un pozzo. Al piano terra le cantine avevano grandi botti di castagno e quercia, e le canali, dove si pigiava l’uva con i piedi. A Capolapiaggia non c’era la tradizione del vino cotto. Lasciato dalla moglie, sor Cesare viveva solo, gli faceva visita il nipote Raniero Zampetti, futuro erede. Durante le feste Cesare si metteva con il tavolino a vendere il vino davanti alla sua residenza, inseriva le monete che incassava in una piccola fessura ricavata sul piano che così cadevano nel sottostante cassetto. Il signor Pietro Evaristi, che ha abitato nel palazzo Pericoli per circa sette anni, ha ereditato quel tavolo. Ricorda anche di aver visto diversi anni fa una cartolina dei primi del Novecento spedita a Cesare da un nipote che lo incitava a far fruttare i contadini più che potessero. Lo scotano (Rhus cotinus) veniva coltivato sul monte di Capolapiaggia, nelle zone Segronna e macchia Mancina. Quell’arbusto, oggi ornamentale le cui foglie in ottobre assumono belle colorazioni rossastre, è chiamato anche “albero nebbia” per i suoi fiocchi. La corteccia e le foglie hanno la peculiarità di essere ricche di tannini; la raccolta dello scotano avveniva in agosto ed era eseguita da donne e ragazzi che lo mettevano in sacchi di juta, i quali poi venivano trasportati nel magazzino con gli asini. Oltre alla sua produzione, che si estendeva per 8-10 ettari, Cesare provvedeva ad acquistare lo scotano a Statte, Pozzuolo, Letegge e anche a Valcimarra e a Vestignano di Caldarola. Quando il prodotto era essiccato, e l’essiccatura avveniva naturalmente, passava un commerciante all’ingrosso che lo acquistava. Da Capolapiaggia, con carri trainati dai buoi, il prodotto veniva trasportato alla stazione ferroviaria di Castelraimondo e poi proseguiva in treno per il Nord Italia, diretto alle grandi concerie, dove era estratto il tannino, prezioso elemento per la concia naturale delle pelli. Pasquale, il padre di Pietro, gli ha raccontato più volte un simpatico aneddoto. Una volta sor Cesare, curioso di sapere dove finisse il suo amato scotano, prese un tascapane con viveri e acqua e s’infilò clandestinamente dentro a un carro merci, come un profugo ante litteram. Si racconta che dopo tre giorni di viaggio il suo vagone fu aperto e lui si ritrovò in Italia settentrionale, magari a Trieste. Tra andata e ritorno compì una trasferta di una settimana, sicuramente indecorosa per le sue disponibilità economiche! La concia minerale al cromo e al ferro introdotta nel 1855 pian piano sostituì l’uso del tannino estratto dallo scotano.

29 dicembre 2016

 

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