“Ma tu, Gran Maestro, sei repubblicano o socialista?” Feci di colpo questa domanda perché mi vennero alla mente, tutte a un tratto, le tante animate discussioni fra i soci del circolo, tra un bicchiere di vino e una partita a scopa, sul credo politico di Garibaldi. “Non sono né l’uno, né l’altro. È vero che mi sono formato alla scuola di Mazzini, ma non concordo con lui sul fatto che prima venga la questione istituzionale e che solo dopo, con la sua solu-zione, si sarebbero risolti gli altri problemi. Io, invece, ritengo che la questione dell’unità d’Italia sia stata prioritaria, infatti ero addirittura disposto a combattere sotto la bandiera di Pio IX, se avesse mantenuto le promesse che aveva fatto”. Fece una pausa, prese fiato (si vedeva chiaramente, anche se cercasse di nasconderlo, che non stava bene) e poi continuò a parlare. “Ho aderito alla Comune di Parigi e alla Prima Internazionale perché ritenevo che fosse nell’interesse delle classi dei lavoratori e dei sofferenti, ma non accetto di certo le esagerazioni e gli eccessi dottrinali dell’Internazionale quali la guerra alla proprietà, all’eredità, l’abolizione dello Stato, l’anarchia e la collettivizzazione della terra, la lotta di classe, la dittatura del proletariato e altro. Io voglio uno Stato che affratelli gli uomini, che unisca le città alle campagne, che elimini gli squilibri economici, che abolisca la guerra e gli eserciti permanenti”. Mi chiese di spingere la sedia a rotelle fuori dalla casa per guardare il mare. Come mi avvicinai per compiere lo spostamento, non so da dove, sbucò fuori Francesca che mi allontanò con gentilezza, ma in modo anche molto deciso dalla sedia e la portò fuori lei. Si ritirò subito all’interno della casa e poco dopo uscì un uomo che pose una sedia vicino a Garibaldi. Si stava bene all’aperto. Si sentiva appieno che era arrivata la primavera. Con il segno dell’Ariete la nuova vita prendeva forma e tutto era uno sfavillare di colori, un’armonia di canti di uccelli. Il mare era tranquillo, c’era una quiete che placava gli animi e addolciva i cuori. “Gran Maestro, ti è molto vicina donna Francesca?” – “Sì. Sembra che il buon Dio me l’abbia mandata nella fase della mia vita in cui una donna così cara e premurosa è la gioia di un uomo malato come sono io”. – “Permettimi, Maestro, ma vieni reputato come un conquistatore di cuori femminili…”. – “No… no! Io amo le donne. Le donne le ho sempre considerate perfette creature, sono il complemento naturale e indi-spensabile dell’uomo. Senza di loro non ci sarebbe umanità. Le donne sono combattenti dolci, ma indomabili. Percepiscono le pulsioni dell’animo prima degli uomini. Tu sai che le considero indispensabili anche in Massoneria. Senza di loro non sarebbe più una confraternita universale. Tante sono quelle che io stesso ho iniziato alla Massoneria”. – “È forse per questo… – dissi in tono scherzoso e forse anche morboso da ex seminarista – che tu Maestro ne hai amate tante?” – “Tante… tante e da tante sono stato amato. Qualcuna mi avrà anche tradito, una di certo, e lo saprai perché la notizia è apparsa su tutti i giornali del mondo. Mi innamorai follemente della diciottenne marchesina Raimondi e la sposai poco dopo averla conosciuta, nel gennaio del 1860, a Fino Mornasco, ma il giorno stesso la lasciai perché fui informato che mia moglie era incinta di un altro. Nonostante le mie insistenze e quelle dei miei avvocati, avere l’annullamento di quel matrimonio è stato difficilissimo. Volevo sposare Francesca e l’anno scorso, pur di ottenere l’annullamento, mi sono umiliato al punto di scrivere una supplica, in carta bollata da 1 lira, al Re e finalmente il 14 gennaio di quest’anno mi è stato concesso. Tutte le donne che mi hanno amato e che ho amato sono nel mio cuore e nella mia mente, ma sicuramente i sentimenti per Anita dominano su tutti gli altri. È stata una gioiosa amante, una valorosa combattente, una devota moglie e un’amorevole madre. Importanti sono state anche le due inglesine, ma più per affinità di pensiero che per attrazione fisica”. – “Maestro, fra poco dovrò lasciarti, riprendere l’imbarcazione che mi riporterà al continente, ma dovrei prima consegnarti un omaggio dei Garibaldini del mio circolo che hanno contribuito, a seconda dei loro mezzi, a raccogliere una piccola somma che tu potrai…” A quelle parole, come per incanto, arrivò la moglie, ma il Generale fece un impercettibile gesto con la mano e lei, con la stesa velocità con cui si era mostrata, sparì. “Ringrazia per mio conto i fratelli. Fai comprendere che é tanto profondo il mio amore per loro, ma riportati indietro questa somma di denaro. A essere sincero ne avrei bisogno, ma io, come sempre, saprò combattere e cavarmela, e quindi ti sarei grato se tale somma fosse immessa nel sacco del “tronco della vedova” della Loggia nella quale so che lavorate per il bene della Patria e dell’Umanità”. Mi alzai con le lacrime agli occhi, abbracciai il Gran Maestro, ci scambiammo tre baci e cominciai a scendere verso il mare. Piangevo per il grande onore che avevo ottenuto di poter parlare alcune ore con Garibaldi, ma ero commosso anche per l’amore dei fratelli del Circolo che mi avevano scelto per questo incontro facendomi un grosso regalo. Mi fermai di colpo, oggi 23 marzo era il mio compleanno. Me ne ero dimenticato… i Fratelli no.
(In foto la casa di Garibaldi a Caprera)
18 novembre 2016