C’è una terra tra l’Adriatico e l’Appennino, a molti quasi sconosciuta. Al centro, a controllo di tutto il territorio, s’innalza una torre, quella di “Pitì bruttu che se vede dapertuttu” o, anche, “Pitì bellu che se vede da Castellu”. Nel volumetto accattivante “Pitino”, scritto da Pacifico Fattobene, c’è tutta la storia di Pitino e dintorni, descritta con l’affetto di chi vive da sempre in quei luoghi, e con una poco velata polemica che scaturisce dal doverne assistere impotente alla decadenza. Tanto si è scritto su Pitino, tanto si è fatto, ma le erbacce e i vandali sono sempre in agguato irrispettosi, non consci, loro, che Pitino non è solo la torre esposta ai venti, o un luogo dove rubare ossa, o dove appartarsi. È soprattutto luogo di ricordi e di storia antica, con tanto ancora da scoprire, mentre nei musei ciò che di Pitino è conservato, è sicuramente da studiare più a fondo, ma soprattutto da far conoscere, in primis a noi “Piceni” che stiamo sotto la sua ombra. Infatti nella appendice archeologica del volumetto ci sono testimonianze fotografiche dei reperti rinvenuti a Pitino, e di alcuni dei quali abbiamo già dato notizia tramite gli articoli dell’architetto Medardo Arduino: una pisside eburnea risalente al VII secolo a.C., un bastone di comando, una testa di guerriero scolpita, un più che bellissimo scudo inciso, elmi di bronzo, fibule in argento di fattura squisita, coppe, coperchi di olle con sopra guerrieri e cavalli, armature di rara bellezza, armi, tutto a testimoniare di una storia che affonda le sue radici al tempo dei Piceni o, addirittura, del popolo Pupuno.
Insomma Pitino, nei secoli, è stato un punto di osservazione privilegiato dal quale, ancor oggi, si può godere la vista di un panorama mozzafiato a 360°, tanto che la torre sembra essere la più panoramica della Marca di Ancona, del Piceno e, forse, di tutta l’Italia centrale. “Dalla sommità della torre – scrive l’autore – lo sguardo va dal San vicino alla giogaia dei Sibillini fino all’ossatura del Gran Sasso… al parapetto oppo-sto, cioè verso l’Adriatico… la marina… da prima del Conero giù giù fino agli ultimi rilievi oltre il territorio fermano”, il tutto è condito da campi, colline, forre, boscaglie e fiumi, per non dire dello spettacolo offerto dal paesaggio innevato. La posizione, nei corsi e ricorsi storici, fa di Pitino un boccone prelibato che in tanti si sono disputato anche con l’uso delle armi: Treia (1192) e San Severino (1199) che lo assediò lottando contro Cingoli, Camerino e Montecchio (oggi Treia) che pretendevano a loro volta il possesso del castello; se ne impadronì Tolentino, almeno fino al 1239 quando Federico II, di ritorno dalla Palestina, se ne impossessò con tutte le Marche; in seguito lo riottennero i sanseverinati ma nel 1248 si allearono i tre comuni di Camerino, Montecchio e Tolentino per recuperarlo, riuscendo nell’impresa; sotto il regno di Manfredi San Severino riconquistò con le armi diversi castelli tra cui Pitino e ne mantenne il possesso. L’ultimo atto storico del castello di Pitino lo vede assediato dalle truppe pontificie che costrinsero gli Smeducci, signori di San Severino, a tentare la estrema difesa chiusi nei castelli di Aliforni, Serralta e Pitino. Una vana resistenza perché Aliforni e Serralta caddero quasi subito, non così Pitino che vide terminare il suo assedio senza spargimento di sangue solamente grazie alla clemenza di Papa Martino V. Tutto è misterioso, quindi affascinante, in questo luogo di antiche memorie e il volumetto di Pacifico Fattobene aiuta il lettore curioso a conoscerne le vicissitudini.
Simonetta Borgiani
14 novembre 2016