I nostri avi nascevano, vivevano e morivano nella loro casa. La norma era questa e andava rispettata.Se una persona, portata all’ospedale, era vicina alla fine i suoi parenti più stretti, in accordo con il medico che conosceva bene la regola, lo riportavano a morire a casa. Per i nostri nonni era brutta la morte, pur essendo la fine logica e ineluttabile della vita, ma ancor più tremenda se avveniva fuori casa. Veniva accettata nella speranza di poter vivere il più a lungo possibile: “A pagà’ e a murì’ vene sembre a ttembu!” Solo la morte di un giovane che, secondo il detto, “non avìa ‘nco’ ‘ngomenzato a campà’” era traumatica perché inspiegabile, quindi più sentita e vissuta con maggior apprensione. Infatti se la morte di un anziano era la logica conclusione della vita, quella di un giovane era l’interruzione non logica di una vita ancora da vivere.
La vestizione
Al momento della morte il corpo veniva accuratamente lavato e, se maschio, sbarbato e poi vestito con un abito nero che l’anziano si era da tempo preparato per la bisogna. Per gli uomini, recitando preghiere e facendo scongiuri, ci pensavano le donne. Per i giovani, spesso, l’abito era quello della Prima Comunione. Il morto veniva adagiato sul letto e si coprivano tutti gli specchi della camera, accanto alla porta c’era una ciotola con Acqua Benedetta con immerso, in parte, un rametto di ulivo (la palma benedetta). Chi entrava prendeva il rametto e con quell’Aspersorio improvvisato faceva tre segni di Croce sul corpo dicendo: “Anima viata che in terra sete stata / sete stata come nù / nù saremo come vù! / Pregate Dio per nù / nù pregheremo Iddio per vù!” Il fatto stesso che all’anima del defunto si dava del “voi” denotava la misura del rispetto che si aveva per le “Anime Sante de lu Purgatoriu”. Il lenzuolo sul quale era steso il morto non doveva essere ricamato e se c’era qualche trina lo si doveva ripiegare in modo che non si vedesse: futilità buone per i vivi e non per i defunti.
Le monetine
Se il trapassato era rimasto con gli occhi aperti questi gli venivano chiusi usando due monetine; una usanza antichissima e anche sulla Sindone appaiono proprio le tracce delle due monete poste sugli occhi di Gesù. Molti erano gli uomini accaniti fumatori di pipa e ad essi, per rispetto, si inseriva la pipa in una tasca del vestito come pure, nel taschino, un fazzoletto bianco che per le donne era sistemato in una manica. Questo perché c’era la credenza che l’anima, prima di giungere a destinazione, dovesse compiere un lungo viaggio, soffrire assai e, quindi, il fazzoletto sarebbe servito per asciugare il sudore. In molte zone c’era l’usanza di offrire ai congiunti, agli ospiti e ai componenti le Confraternite partecipanti al rito ed al corteo funebre, un lauto pranzo. Il lutto era osservato da tutta la famiglia per un anno intero e se le donne vestivano di nero, gli uomini portavano una fascia nera al braccio.
Solo… matrimoni “riparatori”
In tale periodo in casa non si facevano feste di alcun genere tranne i battesimi (senza festeggiare), il resto veniva rimandato. Avvenivano solo i “matrimoni riparatori”, senza festa e con una scusa qualsiasi perché, ovviamente, non si poteva dire il vero motivo. Tutta la famiglia faceva visite al cimitero e pregava durante l’anno con novene, tridui ed altre preci. Per il “giorno dei morti”, il 2 di novembre, oltre alle preghiere c’erano tradizioni alimentari. Le “fave dei morti” (amaretti) sono giunte fino a noi ma c’erano anche le “castagne de lu diaulu” che, lessate o arrostite e poi imbevute di alcool o di cognac e zuccherate, venivano incendiate e si mangiavano calde. Altra credenza era quella che chi avesse mangiato fichi freschi raccolti il 2 di novembre non avrebbe avuto freddo ai piedi per tutto l’inverno.
La porta de li morti
Il morto non si faceva uscire dalla porta di casa perché non si voleva si potesse dire che fosse andato via dalla famiglia ma la cassa passava da una apposita “porta” (un’apertura poco più grande della bara) che si trovava a fianco del portone principale. Appunto la “porta de li morti” che si vede ancora in alcune vecchie case coloniche. Se il funerale, andando al cimitero, passava per un incrocio o si imbatteva in una delle tante Croci poste lungo le vie si doveva fermare e si recitavano “le lavede” o Litanie. Tornando a casa si bruciavano i panni che il defunto aveva indosso al momento del trapasso e la direzione del fumo della pira improvvisata indicava in quale casa del vicinato sarebbe deceduto qualcuno entro l’anno.
20 settembre 2016