Intorno alle 7 del mattino del 23 marzo 1880 sbarcai sull’isola di Caprera, chiesi indicazioni per raggiungere il più velocemente possibile, tanto era il desiderio di rivedere l’eroe dei due mondi, la casa del Generale Garibaldi. Si presentarono due muratori che si offrirono di accompagnarmi. Lungo la stradina mi raccontarono che avevano costruito la tomba del nostro eroe, su disegno dello stesso. Da allora, una volta al mese, andavano a visitarla, senza che ciò fosse stato da nessuno chiesto e senza pretendere ricompense: la pulivano, sradicavano le erbacce che erano cresciute troppo vicino e facevano su di essa dei piccoli ritocchi necessari perché apparisse sempre nuova. Gavino e Mario, i nomi dei due muratori, quando intuirono che ero un conoscente del Generale, mi manifestarono la loro perplessità sul lavoro che avevano fatto. Comprendevano chiaramente perché egli l’avesse pretesa tanto vicina al mare: lì era nato e con il padre aveva conosciuto il duro lavoro del marinaio. Ma perché il sarcofago dovesse essere di pietra ruvida, quasi grezza, non lo capivano proprio. Tutti i grandi scelgono marmi levigati e tra i più pregiati. Vero era che la cassa del Generale era quasi vuota, ma era anche vero che in tanti gli avrebbero, con piacere, donato denari. Io però credevo di aver capito il significato di quella pietra grezza, ma tacqui, pur ripromettendomi, se fosse stato possibile, di chiederlo direttamente all’interessato. Eravamo arrivati nei pressi della casa, i due brav’uomini mi salutarono e piegarono in direzione del mare per andare verso la tomba. Sulla porta dell’abitazione tutta bianca c’era un uomo con una camicia rossa seduto su una sedia con ruote. Era lui, mi stava aspettando. A quella vista fui preso da grande emozione, mi misi a correre, ma inciampai, stavo per cadere. Sentii una voce, mi stava venendo incontro sulla carrozzella spinta da una donna: “Sei giovane, non consumato come me dall’artrosi, ma fai ugualmente attenzione, aa…ttenzione!” Mi rimisi a correre con ancora maggiore foga, gridando “Gran Maestro, Gran Maestro…” lo raggiunsi, lo abbracciai e ci scambiammo tre baci. “Entriamo in casa – mi invitò – potrai rinfrescarti e mettere qualche cosa sotto i denti”. Notai che le porte della stanza in cui eravamo la collegavano con il resto dell’abitazione ed erano assai ampie, forse per agevolare il passaggio della sedia a rotelle dell’infermo. La donna che stava accanto al Generale mi fece cenno di seguirla, mi portò in un piccolo locale e versò dell’acqua in un catino. Mi guardava mentre mi rinfrescavo viso, collo e braccia, tenendo in mano un asciugamano bianco di cotone. Mentre mi porgeva il telo, ruppe il silenzio e mi disse che era Francesca Armosino, la moglie di Giuseppe. Si erano sposati da poco, il 26 gennaio di quell’anno, e con il Generale aveva avuto due figli, Clelia e Manlio. Tornati nella prima stanza, il Gran Maestro mi disse: “Il Presidente del Giardinetto mi aveva scritto che sarebbe venuto a trovarmi un socio del circolo, ma non pensavo di incontrare proprio te!” – “Vi ricordate di me?” Erano le prime parole che ero stato in grado di pronunciare da quando lo avevo visto sulla porta della Casa bianca. Nemmeno con la Signora avevo aperto bocca, avevo risposto solo con cenni del capo alle sue spiegazioni. Troppo grande era la mia emozione. “Certamente, il nostro primo incontro è stato a Macerata, al Caffè del Corso, mentre giocavo a carte”. – “Mi guardaste male: un giovane, non avevo ancora 19 anni, vestito da chierico, vi chiedeva udienza”. Mi interruppe: “Dammi pure del tu, non siamo in Loggia e in questo momento non sono il Gran Maestro onorario del Grande Oriente d’Italia e nemmeno il Gran Maestro del Consiglio Scozzesista. Siamo fratelli uniti dal giuramento massonico, dall’ideale e dalle battaglie per l’unità d’Italia”. – “Ti ringrazio di cuore (era noto che difficilmente concedeva e dava del tu). Nonostante una malcelata ripugnanza per il mio abito, mi ascoltasti. Ti comunicai che stavo per lasciare il seminario e che volevo venire a combattere con te per un grande fine: l’Italia libera dagli stranieri, dal Papato e unita sotto la bandiera tricolore. Tu mi hai risposto…”.
continua
11 agosto 2016