Quel passaggio necessario per costruire la lingua dello scrivere e del creare poesia,viene dalla percezione che nella natura tutti i sensi si corrispondono e creano reciproci riverberi fino a perdersi nell’abbandono di corpo e pensieri… per condurci infine ai Tropici della Malinconia, come affermerebbe Claude Baudelaire e il pensiero si fa lingua poetica, come nei canti leopardiani… Allora perché tanta tristezza, tanta feroce sofferenza, tante speranze perdute impregnano i versi delle poesie? È il libero arbitrio dell’esperienza che crea il pensiero, o un intruso autoritarismo che ne devia il desiderato percorso, sì da renderlo un eterno supplizio di Tantalo? Invero allora, perché la rimembranza sarebbe sempre così nebbiosamente sofferta? Se liberi di scegliere, perché scegliere di soffrire? Oppure le nostre azioni, che pensiamo scaturite da profondi sentimenti e motivazioni, sono sempre e solo un guidato sopruso ai nostri desideri? Con la sofferenza l’uomo è un eterno pellegrino in cerca di serenità, che vuole affondare nell’oblio i rimpianti. Ma è quasi impossibile, e lo spiegano questi versi di Lord Byron:
Coloro che più conoscono / più devono soffrire / per questa verità fatale: / l’albero della conoscenza / non corrisponde / all’albero della vita!
L’ordito della tela poetica è il “cadeaux” della esperienza intellettuale dei poeti; il ricordare spesso versi o eufemismi di poeti e scrittori di altri tempi, non è per una precarietà di contenuti, bensì per una conferma di quanto il nostro mondo interiore sia vicino a quello dei nostri avi e lo scorrere del tempo non muta le radici!
18 luglio 2016