Sacco e Vanzetti
Un ricordo è legato allo spettacolo “Sacco e Vanzetti”, dove recitavo nella parte del ricco industriale americano che, con una battuta, convince il giudice a condannare i due italiani innocenti. Alla fine della scena il giudice, abbassando il capo, faceva capire di avere accettato la mia proposta e, da parte del pubblico, c’era un momento di gelo… poi l’applauso. Alla seconda replica, non appena finisco di parlare e il giudice annuisce, si sente forte la voce di un famoso anarchico maceratese che, dalla platea, urla: “Bella cosa che hai fatto, delinquente!”. Solo dopo è partito l’applauso. Negli anni successivi il consiglio direttivo del Gad, del quale facevo parte, decise di mettere in programma le commedie in dialetto. La speranza era che gli incassi aumentassero in modo da reggere le spese per gli spettacoli più impegnati ma meno frequentati. La prima fu quella del professor Dante Cecchi, “Comme lu sòle”, che ebbe un successo oltre ogni più rosea aspettativa, tanto da venire replicata decine di volte in quasi tutti i paesi della provincia. Tornati al teatro Lauro Rossi, dopo tante repliche eravamo tutti un po’ stressati al punto che, per non annoiarci, con il carissimo Andrea Caldarelli, salito al cielo troppo presto, con gli altri e con il beneplacito del regista Ugo Giannangeli, avevamo deciso di recitare “a braccio”, inventando di volta in volta le battute. Era una simpatica sfida, noi ci divertivamo e giocando con le parole divertivamo anche il pubblico. Quella sera, a nostra insaputa, in un palco c’era Dante Cecchi. Alla fine della rappresentazione si presentò nei camerini e noi restammo gelati! Ci guardò, sorrise e disse: “Bravi! Questa sera avete anche detto qualcuna delle parole che avevo scritto io…”. La risata generale alleggerì la tensione: l’amico Dante ancora una volta aveva dato dimostrazione della sua intelligenza.
In manicomio
Fu deciso di portare “Comme lu sòle” nel manicomio, per gli ospiti, diciamo, meno malati. A un certo punto della commedia mi recavo a casa della ragazza di cui ero innamorato ed entravo, chiedendo permesso, tenendo per lo spago un grosso “ciauscolo” e dicendo: “Le ho portato un salame… ma non so se faccio bene a metterle in mano questo còso…”. Mentre nelle altre rappresentazioni il pubblico rideva alla battuta a doppio senso, al manicomio c’è stato, invece, un momento di silenzio poi una voce di donna ha urlato: “Madonna cara! Quissi ha ditto ‘na parolaccia!” Quella sera la risata l’abbiamo fatta noi sul palco.
Lo petrojo
Toccò poi mettere in scena, sempre di Dante Cecchi, “Lo petrojo”. Qui c’era Andrea Caldarelli che, in maniera mirabile, dava vita a un petroliere di origine veneta e ne scimmiottava gli accenti con estrema bravura, perché la mamma era di Venezia e lui conosceva bene quella parlata dialettale. Andiamo a recitare nello splendido teatro di Cingoli dove, stranamente, ci passano la cena prima dello spettacolo, cosa che mai facevamo onde evitare che strani rumori, dovuti alla digestione, potessero interferire nella recitazione. Andrea aveva abbondantemente mangiato i cibi genuini ancorché squisiti che ci avevano preparato e aveva bevuto senza parsimonia l’ottimo vinello locale. Mentre recitava una battuta, affacciato alla finestra posta sul fondo della scena, gli uscì spontaneo e incontrollato un potentissimo rutto! Ci fu un attimo di silenzio, poi Ugo Giannangeli, che era in scena, con padronanza del palcoscenico e con grande bravura, voltandosi verso la porta laterale che dava sulla cucina urlò alla moglie, che era fuori scena: “Marì, sospenni la camumilla che lu petroliere ha digerito!” Noi, che eravamo rimasti gelati dietro le quinte, scoppiamo in una forte risata coperta dall’applauso scrosciante del pubblico. Ugo aveva risolto una situazione che sarebbe potuta diventare incresciosa e dopo tanti anni sono ancora sicuro che tutte le persone presenti in sala hanno preso la cosa come se avesse fatto parte del copione.
Cisirino
08 luglio 2016