La razza bovina marchigiana

Sì. Proprio un vuoto nella storia è quello che mi accingo a descrivere. Tempo fa, in tv, durante il settimanale “Linea verde”, condotto da un presentatore dalla fluente chioma bianca, apparve un altro collaboratore di aspetto più giovanile. L’argomento era la razza bovina marchigiana. Il sedicente esperto, da conoscitore, si limitò a descrivere sinteticamente la provenienza podolica dei bovini marchigiani. Tutto qui, non di più. Francamente  rimasi male e mi domandai perché non porre in evidenza un lavoro serio e meticoloso, condotto con un’attenzione degna di un certosino su questa razza bovina. Chi scrive è in grado, poiché è vissuto da testimone, di portare a conoscenza dei lettori una verità che merita rispetto nei confronti di quei  protagonisti che, da pionieri, iniziarono il lavoro della selezione geno-morfo-funzionale della razza bovina marchigiana. Correva l’anno 1953. Chi erano allora gli uomini addetti al controllo delle attività delle aziende agricole? Tecnici qualificati, dipendenti del Ministero dell’Agricoltura, strutturati in Ispettorati. A Macerata, capo dell’Ispettorato, era il prof. Silvetti, ad Ascoli Piceno e Ancona altri suoi pari. (Pesaro fu esclusa perché i bovini di quella  zona risentivano molto della razza romagnola). I capi degli Ispettorati intrapresero l’azione iniziale con una prima selezione massale, istituendo l’obbligo della fecondazione delle fattrici con capi riconosciuti corrispondenti allo “standard” della razza marchigiana. Più tardi, con metodo rigoroso, tutti i nati maschi e femmine furono numerati con fascette metalliche in un orecchio e dall’altro lo stesso numero con tatuaggio. Ognuno di loro fu annotato con una scheda propria e seguito mensilmente negli incrementi ponderali e misurato nello sviluppo. Chiaramente, tutti vennero iscritti nei libri genealogici del capostipite. Nel susseguirsi dei controlli furono eliminati via via dalla anagrafe della razza quelli non idonei. Negli anni successivi i risultati furono esaltanti, premiando un lavoro veramente meritevole: si ottenne l’affermazione di una razza da carne e da lavoro rustica, docile, tanto pregevole da non sfuggire agli allevatori argentini, che, allora, nelle loro sterminate praterie, allevavano allo stato brado le antiche razze inglesi, come l’Angus e l’Hereford che presentavano la marezzatura nelle carni, ovvero notevole grasso. All’Expo di Milano mi risulta che il padiglione argentino esponesse a caratteri cubitali “QUI ABBIAMO LA CARNE BOVINA MARCHIGIANA”. La carne venne infatti ricavata da soggetti acquistati e introdotti nel proprio territorio con reduci di quella selezione. Valorizzata in quella terra lontana, la selezione di questi bovini fu invece abbandonata e ritenuta inutile dai nostri Enti di sviluppo, istituiti al posto degli Ispettorati, che si dedicarono a studi approfonditi intorno a tavoli più o meno rotondi. Chi scrive, in quel tempo vincitore di concorso nazionale, è stato controllore zootecnico della razza bovina marchigiana con il caro amico Euro Saltari. Insieme, con la pioggia o con il sole, a cavallo di una motocicletta Guzzi, il famoso galletto, abbiamo lavorato in ogni angolo della Provincia. Dal mare, presso l’azienda agraria, eredi Volpini fu Francesco, alla montagna intorno alla Muccia pedemontana presso l’azienda di Simoni. Abbiamo fatto solo il nostro dovere di dipendenti dello Stato. Tra i ricordi c’è quello che riguarda alcuni bovini, di sangue blu marchigiano, che, pur non ammessi alla selezione, venivano comunque esposti alla vendita al mercato boario annuale di Recanati. In questo mercato veniva bandito un concor-so, con tanto di catalogo, del vitellone di razza marchigiana, dove accorrevano numerosi acquirenti. I bovini erano compresi nell’età 12-14 mesi, con peso che oscillava fra q.li 5,20-5,60. Non erano più vitelli né torelli, ma vitelloni. Gli intenditori tastavano vicino all’attacco della coda e sotto il tronco della zampa posteriore, le adiposità rivelatrici. Qualunque prezzo era buono, perché migliore carne non esisteva. Di questa qualità oggi è rimasto un sogno. Lo confermano tutti i fogli che vengono distribuiti dai supermercati che indicano nel prospetto carni “bovino adulto”. Provare per credere, il sapore di quella carne è pressoché scomparso, così come i campioni della razza marchigiana.

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