Il rosso fiore della violenza XXII puntata

La scoperta di un lato sconosciuto della vita della figlia provocò nell’Avvocato Barilatti un profondo e doloroso stupore. Egli ammise con se stesso, ed era la prima volta che se ne rendeva conto, che da troppo tempo stava trascurando sua figlia per stare dietro ai capricci della giovane moglie. Un nodo gli serrò la gola. Ripensò al giorno precedente, all’insolita presenza di sua figlia nel suo studio, cosa che molto raramente faceva, alla sua insistenza che egli l’accompagnasse al cinema, al contenuto politico del film, alla sua lunga durata come se avesse voluto di proposito impedirgli di rientrare in studio; alle sue risposte risentite e polemiche, quando avevano parlato della sua antica militanza nelle file della Repubblica di Salò. Un sospetto cominciò a ronzargli in testa: che la tesi del Commissario fosse quella giusta. Vivaddio come può una figlia, in spregio ai suoi sentimenti filiali, al rispetto per il proprio padre, macchiarsi di una colpa così infame! No! No! Non poteva esser vero, non doveva credere ai sospetti di un commissario politico: erano infondati, dovevano essere per forza infondati! Ammesso che sua figlia frequentasse quei militanti dell’estrema sinistra, la cosa non voleva affatto dire che lei fosse colpevole dell’attentato: non era forse moda per i figli di buona famiglia frequentare e di far parte di collettivi e d’associazioni varie dai mille colori politici? Sentiva il bisogno di respingere dalla sua mente quell’orribile sospetto, non doveva inquinare il suo affetto per la figlia con un sentimento così ignobile. Appena rientrato, le corse incontro e l’abbracciò con trasporto: “Bambina mia, piccola mia, dimmi che non è vero! Lo so che ti ho trascurato per egoismo, ma io mi rifiuto di credere che tu m’abbia voluto punire in un modo così atroce!” – “Non è vero, non è vero! Perché l’avrei dovuto fare?” Rispose, scoppiando in un pianto dirotto e riparando nella sua camera a nascondere la sua vergogna e il suo cocente rimorso. La Tata, da dietro la porta della cucina, ascoltava e piangeva a sua volta. Beatrice si sforzava di consolare il marito che nell’arco di due giorni sembrava invecchiato di dieci anni. Dopo di ciò la vita sembrò scorrere come sempre, anche perché il direttivo del G.L.P. per mezzo di Katia aveva fatto sapere ad Angela d’usare prudenza prima di farsi rivedere dalle parti di via Zara. La ragazza sentiva la mancanza di Alberto il quale la gratificava e solo da lontano di qualche sorriso e di qualche segno di consenso. Lei attribuiva quelle sue tiepide manifestazioni alla prudenza, e in cuor suo ne era sicura, che con il suo attentato allo studio paterno s’era conquistato, se non il cuore, almeno la stima del giovane. Ardeva comunque dal desiderio di parlargli e d’ascoltarlo mentre con la sua voce fredda e tagliente dissertava intorno alla rivoluzione. Da qualche tempo Angela aveva notato una Fiat 600 grigia stazionare in permanenza sul lato opposto della sua strada e che, ogni volta che lei usciva, la pedinava per ogni dove. Preoccupata telefonò a Katia: “Katia ho il sospetto d’esser pedinata: una macchina mi segue dappertutto”. – “Anch’io sono pedinata. Chi vuoi che sia se non un qualche spione della polizia”. – “O mio Dio! Allora cosa facciamo?” – “Stai calma per ora! Mi metterò in contatto con Alberto per avere istruzioni. Tu intanto fai finta di niente e continua la tua vita di sempre. È meglio che non scoprano che ti sei accorta d’essere pedinata”. Di quel pedinamento, non molto discreto a dire il vero, se n’era accorto anche l’Avvocato il quale inviperito dalla constatazione che il Commissario Sirtori persisteva nei suoi sospetti, andò a protestare dal Questore, suo antico compagno di scuola ed ex camerata della vecchia milizia fascista. Questi convocò subito il Commissario Sirtori: “Alberico, a che punto sei con le indagini su quel fantomatico gruppo che si firma G.L.P.?” – “Il pedinamento non ha dato per ora risultati apprezzabili, ma uno scopo è stato raggiunto: i soggetti pedinati si sono messi sulla difensiva il che vuol dire che hanno qualcosa da nascondere”. – “Comunque mi pare che tu non abbia in mano nulla di concreto”. – “Ancora no, ma sono convinto che quanto prima faranno un passo falso”. – “E mentre tu aspetti questo presunto passo falso, i genitori di quella ragazza vengono a protestare  per i tuoi pedinamenti alla luce del giorno e per i tuoi supposti sospetti. Alberico, tu lo sai che quella è gente che conta! Se non sarai cauto quelli ti daranno filo da torcere! Hanno minacciato di dare la faccenda in mano alla stampa. Cerca di capire che noi tutti non possiamo rischiare di giocarci la faccia e forse anche il posto soltanto per dei sospetti. Se poi dovessero risultare infondati mi dici tu come faremo a venirne fuori? Alberico caro, piedi di piombo ci vogliono! Altrimenti nella merda ci troveremo quanto prima! Gente come quella monopolizza il potere, quello reale, concreto, non come il nostro che è soltanto apparente. Ha in mano la stampa e i capitali e, in poco ti tappezzano lo Stivale di ettari di manifesti, mi hai capito Alberico? I giornali, santa Madonna! Se non stiamo attenti quelli ci sputtanano per tutta l’Italia! Non credo che in questo momento ci faccia bene una campagna denigratoria. Suvvia, Alberico, mettici una pietra sopra e facciamola finita! Concluse a mani giunte il Questore. “Signor Questore, con tutto il rispetto, le faccio notare che noi abbiamo da temere ben altro”. Rispose il Commissario Sirtori, cui non era piaciuta affatto quella lunga e noiosa tiritera del suo Superiore. Il quale non aveva altro scopo che quello d’affossare l’inchiesta. “Che cos’altro dovremmo temere secondo te?” – “Questi figli di papà si stanno organizzando per la lotta armata e se noi non corriamo ai ripari, presto ci troveremo a dover arginare una sommossa su scala nazionale!” – “Su via, Alberico, non fare il tragico! Non confondere delle ragazzate addirittura con piani eversivi su scala nazionale”.

continua

 

 

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